Un’accurata recensione della raccolta di saggi di Giorgio Feliciani – curato da Michele Madonna, dal titolo Papato, episcopati e società civili – Nuove pagine di diritto canonico ed ecclesiastico (con prefazione di Benedict Ndubueze Ejeh, preside della Facoltà di diritto canonico San Pio X di Venezia

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Giorgio Feliciani, Papato, episcopati e società civili – Nuove pagine di diritto canonico ed ecclesiastico, a cura di Michele Madonna, Venezia, Marcianum Press 2020

Roberto Carlo Delconte

La raccolta di saggi di Giorgio Feliciani contenuta in questo volume – curato da Michele Madonna, dal titolo Papato, episcopati e società civili – Nuove pagine di diritto canonico ed ecclesiastico (con prefazione di Benedict Ndubueze Ejeh, preside della Facoltà di diritto canonico San Pio X di Venezia, ove insegna adesso Feliciani) – rappresenta una privilegiata occasione di riflessione su alcune importanti tematiche, proprio per la competenza scientifica e la lunga esperienza dell’Autore (del resto lo stesso volume vuole “celebrare meritatamente i suoi 80 anni di età spesi per la maggior parte a promuovere la scienza del diritto canonico”).
Felice la scelta di suddividere i saggi (pubblicati in riviste ed opere collettanee tra il 2012 e il 2019) in tre sezioni (“percorsi storici”, “diritto canonico” e “diritto ecclesiastico”), perché consente non soltanto una più ordinata presentazione dei contributi, ma perché riesce subito, a prima vista, a rendere l’idea della ricchezza e varietà dei temi scientifici oggetto di indagine. Soffermandoci sui principali titoli, nella prima parte, si spazia dalla codificazione canonica del 1917, ad alcune proposte di regolamentazione delle conferenze episcopali da parte dei Cardinali Gasparri e Cerretti, fino al ruolo della CEI nella revisione del Concordato lateranense, per terminare con un appassionato ricordo del Maestro Orio Giacchi. Nella seconda, si passa dalla nuova codificazione per la Chiesa latina, alla partecipazione dei laici al munus docendi, dal sinodo minore della diocesi di Milano, alla libertà religiosa per Papa Francesco, dal ruolo dei Santuari per la missione, all’insegnamento del diritto canonico nelle università italiane. Nella terza, infine, troviamo trattati la questione del crocifisso e il tema della libertà religiosa nell’attuale prassi ecclesiale italiana, la libertà religiosa nel contesto stabilito dal Trattato di Lisbona, il regime giuridico dei luoghi di culto nel diritto internazionale e nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Merita in particolare segnalare il contributo dal suggestivo titolo “La codificazione per la Chiesa latina: attese e realizzazioni. Dobbiamo tornare alle Decretali?”. Qui, dopo avere sinteticamente analizzato la “novità” del nuovo codice del 1983 (anche nel confronto con quello del 1917) – che è riuscito in qualche modo a “tradurre in linguaggio canonistico l’ecclesiologia conciliare” del Vaticano II – viene richiamata anche la sua “autonomia”, partendo dal presupposto che il CIC (come “ultimo documento conciliare”) affonda le proprie radici non soltanto nella dottrina conciliare, ma anche nell’“esperienza che ne è seguita”, riuscendo talvolta a meglio chiarire e approfondire quanto affermato dal Vaticano II. Tuttavia, l’Autore non trascura di considerare la meno positiva valutazione prospettata “da una parte significativa della canonistica”, secondo cui il CIC non sarebbe stato in grado di recepire il “dato conciliare” della ecclesiologia di comunione, “con tutta la sua forza espansiva” (restando in una certa misura legato alla concezione della Chiesa come “società perfetta”). Per altri, darebbe l’impressione di restare un “percorso incompiuto” o un “codice di transizione”. Interessante, poi, il fatto che pur non prevedendo il CIC vigente alcuna procedura per inserire future modifiche, questo non ha impedito numerose e significative innovazioni (in effetti sono quasi una quarantina i canoni modificati, integrati o sostituiti, senza contare un progetto di riforma del “diritto penale” che porterebbe complessivamente a innovare oltre il 7 per cento dell’intero CIC). Da qui il dubbio se la scelta del legislatore postconciliare per la codificazione sia stata opportuna, “o se, invece, non sarebbe stato preferibile procedere con leggi riguardanti le materie che più necessitavano di riforma”. Del resto fu lo stesso Cardinale Pericle Felici – al Sinodo dei Vescovi sulla evangelizzazione nel 1974 – ad approvare “l’ipotesi che, in attesa della promulgazione del CIC, considerata tutt’altro che prossima, si tornasse temporaneamente all’epoca delle Decretali”, non per delineare un’alternativa alla codificazione, ma solo per suggerire di provvedere “a colmare le lacune esistenti con leggi di carattere per così dire provvisorio, emanate come ad experimentum”. In ogni caso, valutando criticamente tutte le luci e tutte le ombre del CIC postconciliare, non si può negare che esso abbia profondamente recepito gli aspetti salienti della ecclesiologia conciliare, apportandovi un significativo contributo di approfondimento e di sapiente traduzione giuridica dei suoi insegnamenti. Per questo, come rilevato da Feliciani, anche i più severi critici del nuovo CIC riconoscono – come “punto di non ritorno” – che esso rappresenti “una tappa di transizione di grande importanza per la vita della Chiesa”, sia per la sua stessa immagine istituzionale, sia per la metodologia della scienza canonistica.