Il diritto canonico nell’età secolare
Giuseppe Dalla Torre
1. La “revanche de Dieu”. – 2. Aspetti soggettivi ed oggettivi del diritto di libertà religiosa. – 3.Problematiche relative alla libertà religiosa individuale. – 4. Problematiche relative alla libertà religiosa collettiva e istituzionale. – 5. Le incertezze dello Stato laico. – 6. Gli insegnamenti del magistero. – 7. Conclusioni
1. Il fenomeno della secolarizzazione è troppo noto per dover essere illustrato in questa sede. Basta qui ricordare che si tratta di fenomeno dalle molte facce, tra cui precipua è quella del distacco progressivo della vita e delle realtà mondane dal riferimento alla religione, ed in particolare a quel cristianesimo che ha forgiato la cultura – e quindi anche il diritto – dell’Occidente, ed i cui valori hanno ispirato la vita delle persone e delle società per secoli. La secolarizzazione ha capovolto la tradizionale ottica rimuovendo Dio e ponendo al centro l’ “io”, di cui ha assolutizzato l’autonomia; ha frantumato le tavole di valori etici che, come un collante forte, in passato tenevano unita la società; ha favorito l’insorgere e l’affermarsi di un pensiero e di una prassi non più collegata con la divinità, come da sempre l’umanità aveva fatto.
Si è trattato di una grande rivoluzione copernicana che ha avuto un forte impatto anche sul diritto, provocando una considerevole riflessione dottrinale ed un sostanziale mutamento di percezione culturale. In opposizione alle antiche concezioni giusnaturalistiche, che fondavano il diritto – per dirla col Sofocle dell’Antigone – nelle “leggi non scritte degli dei”, il pensiero secolaristico ha ridotto il diritto a mero strumento tecnico per la composizione dei conflitti di interesse insorgenti nella società: in questo senso esemplare la riflessione socio- giuridica di Max Weber [1].
A ben vedere, tra gli effetti del medesimo processo è da annoverare la grandiosa costruzione dottrinale di Hans Kelsen, tesa a sostituire la volontà normativa divina insita nella tradizionale concezione giusnaturalistica e ridotta nient’altro che a mera credenza mitologica, con la Grundnorm, con la “norma fondamentale”, cioè con la norma che è a fondamento di ogni altra norma; una norma non posta, ma presupposta, da individuare poi sostanzialmente nella Costituzione. Il suo pensiero, teso a delineare una teoria pura del diritto, intende assicurare una conoscenza rivolta solo al diritto, depurato da ogni ideologia politica, pensiero naturalistico, riferimento religioso [2]. Nota giustamente al riguardo D’Agostino che “in chiave non ontologica, ma sociologica, il risultato ultimo del kelsenismo è stato quello (come aveva perfettamente compreso Giuseppe Capograssi) di aver reso terribilmente difficile almeno per i normativisti l’elaborazione di un’adeguata teoria dell’obbligo giuridico (perché una norma fondamentale dovrebbe obbligare gli esseri umani, quando questi non si sentono, in genere, obbligati nemmeno dalla volontà divina?)” [3].
Le considerazioni da fare al riguardo sarebbero molte e complesse, ma porterebbero lontano. Qui è sufficiente osservare che la secolarizzazione, provocando una esperienza giuridica a partire dal presupposto per cui Deus non est, indebolisce il fondamento del diritto, riduce questo a mero e solo diritto positivo, lo mette pericolosamente nella disponibilità del più forte (ius quia iussum: si chiama ius perché è comandato), comunque conduce inesorabilmente ad una sua relativizzazione [4].
Le osservazioni sviluppate sin qui, seppure per spunti e frammenti, riguardano chiaramente il pensiero giuridico e l’esperienza giuridica secolari. Da questo punto di vista il diritto canonico manifesta, ancora una volta, tutta la sua eterogeneità rispetto al diritto degli Stati e delle società politiche in genere. Se non altro perché il diritto della Chiesa cattolica è da sempre rocciosamente ancorato a quel diritto divino naturale e positivo, o rivelato, che ne costituisce per dir così la “costituzione materiale”. Non a caso da una parte della scienza giuridica canonica si suole distinguere dal punto di vista del lessico tra diritto ecclesiale, vale a dire l’intera economia giuridica della Chiesa nella sua componente sia divina che umana, e diritto canonico, con riferimento alla sola parte umana di quella medesima economia [5].
Insomma: il diritto canonico, per quanto più vicino dal punto di vista tecnico ai sistemi giuridici di common law e di civil law, quindi a sistemi di società politiche, che non ai grandi sistemi dei diritti religiosi [6], tuttavia si distingue nettamente dai primi nella misura in cui essi si sono progressivamente secolarizzati. Mentre i sistemi giuridici secolari prescindono ormai completamente da ogni riferimento al divino, il diritto canonico questo necessariamente presuppone e non potrebbe prescinderne senza negare sé stesso. Lo “spirito del diritto canonico”, per riprendere un’espressione cara ad un grande canonista laico italiano del Novecento [7], è ineluttabilmente segnato dal fatto religioso per la sua origine, per la sua natura, per le sue finalità. L’ipotesi “etiamsi Deus non esset”, da cui prende le mosse il procedimento di secolarizzazione sul terreno giuridico, non è neppure proponibile per un diritto chiamato a disciplinare la vita di una comunità di credenti; di un diritto che si muove nella prospettiva delineata dall’ultimo canone della vigente codificazione latina, il can. 1752, per il quale “la salvezza delle anime […] deve sempre essere nella Chiesa la legge suprema”.
Eppure, se si spinge poco più avanti la riflessione, non può farsi a meno di constatare che il diritto canonico non è una monade felice isolata in un mondo giuridico secolarizzato; il suo incarnarsi nella storia non lo rende affatto immune, anzi, dai processi culturali che questa storia investono. Dunque anche il diritto canonico è toccato, e non senza effetto, dalla secolarizzazione. E questo in una duplice dimensione.
Innanzitutto in una dimensione esterna alla compagine ecclesiale, e quindi nella prospettiva della sua effettività all’interno delle realtà civili. Giova al riguardo notare che il popolo di Dio vive – ed è chiamato a vivere – nei popoli di questa terra: la Chiesa è chiamata ad agire nel mondo come l’anima nel corpo, secondo l’antico paradigma segnato dalla lettera A Diogneto [8].
Dunque – e qui è il cuore delle presenti riflessioni –, è più che lecito domandarsi come opera e può operare il diritto canonico nella società secolare; quali limiti e condizionamenti, esso incontra in una realtà giuridica che ha programmaticamente fatto a meno di ogni riferimento a Dio.
Ma poi anche nella sua dimensione interna al popolo di Dio, cioè nella concreta esperienza della società ecclesiale, dove parrebbe addirittura paradossale ed impossibile l’influenza secolaristica per le ragioni accennate.
2. Guardato alla distanza, il fenomeno della secolarizzazione è nato e si è sviluppato sempre più velocemente nel tempo in seno alle società civili, negli Stati e nei relativi ordinamenti giuridici, quindi al di fuori della realtà ecclesiale che a lungo è parsa una sorta di enclave immune da contaminazioni.
Non pochi ritengono che sia ancora oggi così, perché se sono evidenti le trasformazioni prodotte dal fenomeno in esame nelle società civili dell’Occidente tradizionalmente cristiane, sia a livello di istituzioni pubbliche sia a livello di sentire diffuso nel corpo sociale, con conseguente progressiva riduzione del popolo di fedeli all’evangelico pusillus grex [9]; d’altra parte sussiste indubbiamente un’incompatibilità profonda, strutturale, ineliminabile da una concezione del mondo e dell’uomo che fa a meno di ogni riferimento a Dio, com’è quella degli ordinamenti laici secolarizzati, ed una società col suo relativo ordinamento giuridico che tutta si giustifica per la chiamata fatta da Dio.
Eppure il processo di secolarizzazione, muovendo dall’esterno della società ecclesiale, ha finito col tempo a toccare anche questa, provocando una serie di effetti di cui si dirà più avanti. Ma seguiamo il moto di tale processo.
La secolarizzazione della società occidentale ha poco a poco prodotto, come già accennato, la scomparsa del sacro dalla sfera pubblica. L’assunto “etiamsi Deus non esset”, di cui alle teoresi del giusnaturalismo razionalista settecentesco, da ipotesi di scuola, quindi da paradigma impossibile, è invece divenuto nel tempo una realtà evidente e corposa: nella cultura, nei modelli di riferimento, nei comportamenti individuali e collettivi, quindi nelle istituzioni politiche e sociali, come nel diritto positivo. In questo processo ha giocato un ruolo ambiguo al tempo stesso di causa ed effetto il principio di laicità, che si afferma nella qualificazione degli Stati e che tende ad informare normativa, amministrazione pubblica, giurisprudenza [10]. Perché se da un lato l’affermazione formale di codesto principio segue il trasformarsi laicamente di una società secolarizzata, dall’altro lato la sua imposizione svela il volto ideologico di un programma politico, teso alla scristianizzazione della società occidentale. Tutta la storia europea dell’Ottocento può essere letta in questa prospettiva.
La scomparsa del sacro dalla pubblica agorà, la sua riduzione a mera faccenda privata, personale, da esaurirsi nel chiuso della coscienza o al più nelle strette cerchie di formazioni private, comporta tra i suoi effetti una sostanziosa incidenza sul diritto della Chiesa, in quanto realtà istituzionale indipendente e autonoma, all’interno degli ordinamenti statuali. Nel senso che viene ristretto se non addirittura impedito l’essere e l’agire della Chiesa come realtà istituzionale, in sostanza le viene negato ogni riconoscimento come realtà giuridica originaria, da rispettare nella sua autonomia (o come si preferisce: sovranità) [11], quindi nei suoi caratteri propri e nelle sue tipiche competenze anche giuridiche. Non è un caso che il pensiero giuridico liberale abbia teorizzato, tra i contenuti del diritto di libertà religiosa, la libertà individuale e collettiva, non anche quella istituzionale [12].
La categoria medievale della libertas Ecclesiae, elaborata per difendere l’istituzione ecclesiastica dalle pretese di un potere imperiale che peraltro si riconosceva come cristiano, viene riesumata dinnanzi alle pretese degli Stati laici/laicisti che segnano tutto l’Ottocento ed una porzione importante del Novecento: si pensi solo al Kulturkampf in Germania o alla legge di separazione del 1905 in Francia, senza contare le dolorose querelles che, in Italia, hanno accompagnato il moto di unificazione nazionale [13].
Il processo di secolarizzazione è divenuto così ampio e profondo che, come ho avuto modo di segnalare in altra occasione, esso ha oggi messo in crisi la stessa libertà religiosa individuale e collettiva. Difatti si tratta del diritto oggi più violato al mondo, ma per il quale l’Occidente religiosamente incredulo non ritiene di impegnarsi, così come fa invece nel caso di altri diritti fondamentali (o addirittura di diritti rivendicati come tali). Del resto, perché combattere per qualcosa in cui non si crede? [14]
Il processo che stiamo studiando, d’altra parte, ha avuto in ruolo inimmaginabile nella rottura di quella solidarietà tra ius canonicum e ius civile che, nella realtà europea, era stata caratteristica di tutta l’età di mezzo e di una parte di quella moderna; nell’esperienza del diritto comune il diritto canonico aveva svolto un ruolo civilizzatore della cultura e dell’esperienza giuridica di enorme rilievo [15]. L’estromissione del diritto canonico dagli ordinamenti statuali, così come l’allontanamento del suo studio dai curricula universitari per la formazione di ricercatori ed operatori del diritto ha provocato danni difficilmente calcolabili.
Un grande storico del diritto, profondo conoscitore anche del diritto canonico, Paolo Grossi, pone esplicitamente tra le cause dell’ “esilio moderno del diritto canonico” la secolarizzazione. “La società medievale – scrive – era una società fideistica, che aveva delle precise piattaforme ideologiche e, di più, metafisiche; contro di essa, dal Cinquecento in poi, c’è un grande movimento liberatorio (o preteso tale): la secolarizzazione. L’uomo è chiamato a fare i conti soltanto con i dati offerti dalla natura e dalla storia, insomma dall’immanenza, grazie a quella taumaturgica chiave omnivalente costituita, per l’età nuova, dalle scienze matematiche e naturali in progresso vistosissimo. La secolarizzazione non è soltanto affrancazione dal sacro immedesimatosi in una soffocante teologia, ma è comprensibile che assuma in primo luogo il significato storico di contraccolpo verso il sacro, di attacco acre verso il sacro a causa della sua incarnazione – durata troppi secoli – nella incombente Chiesa Romana, realtà che per la società secolarizzata sei-settecentesca costituisce ancora una rappresentazione tentacolare e minacciosa” [16].
Gli effetti di tale emarginazione, cui la Chiesa ha reagito con una crescente attività concordataria volta a far rientrare per questa via il suo diritto negli ordinamenti secolari [17], sono stati devastanti per l’effettività del diritto canonico, cioè per la sua concreta produzione di effetti nelle realtà mondane. Ma alla lunga sono stati profondamente negativi anche per il diritto secolare, nella misura in cui globalizzazione e parallelo declino della forma-Stato moderno, hanno – e stanno – sempre più imponendo una esperienza giuridica nuova: tramonto della statualità e della nazionalità del diritto, superamento della giurisdizione statuale, moltiplicazione e frammentazione delle fonti e rinascita di una lex mercatoria, privatizzazione della stessa funzione del ius dicere con la moltiplicazione delle istanze arbitrali. Si tratta di una esperienza giuridica nuova, per affrontare la quale il diritto statale trarrebbe giovamento – come è accaduto nei secoli passati – dall’apporto paradigmatico del diritto canonico, ma sul quale non può – né vuole più – contare.
Si è detto del diritto pubblico, ma anche quello privato non si sottrae alla medesima involuzione: si pensi alla sostanziale fine del matrimonio come istituto civile, cui conduce la più recente evoluzione legislativa in Occidente [18].
Paradossalmente oggi il diritto secolare avrebbe bisogno del diritto canonico, al fine di avere paradigmi di riferimento per un’esperienza che sta mettendo in crisi quelle che sono stati definiti le “mitologie giuridiche della modernità” [19].
3. Effetto ultimo della secolarizzazione è stato l’inatteso (e inimmaginabile) manifestarsi di rigurgiti di giurisdizionalismo. Effetto inatteso perché la scomparsa del religioso dall’orizzonte dell’uomo moderno lasciava pensare al giurisdizionalismo, cioè alla pretesa dello Stato di controllare la vita interna delle comunità religiose, come a qualcosa di morto e sepolto; come alla memoria storica di mondi ormai tramontati da tempo.
Gli è però che questo uomo moderno non aveva fatto i conti col fenomeno, sopraggiunto, di quella che icasticamente è stata definita la revanche de Dieu [20], quella rivincita di Dio nella società secolare che ripropone volti antichi e soprattutto ne manifesta di nuovi. Ma specialmente effetto paradossale, perché appare assolutamente contraddittorio che una società la quale ha rimosso il religioso dal proprio seno, non solo come dato di fatto ma persino come obbiettivo programmatico, si preoccupi di disciplinare aspetti e momenti di quella vita religiosa che ha scacciato dallo spazio pubblico emarginandola nel privato. E più ancora effetto paradossale quando, e non di rado, pretende di intervenire negli interna corporis delle società religiose; quando si arroga poteri di intervento per una reformatio Ecclesiae, che richiamano alla mente addirittura forme del giurisdizionalismo confessionista del Settecento [21].
Gli esempi in materia sono tanti; qui basta richiamarne due.
Il primo è da rintracciare tra le note e tristi vicende degli abusi sessuali su minori da parte di chierici e religiosi, al cui contrasto e repressione la Chiesa si è impegnata oltremisura negli ultimi anni.
Al riguardo, tra gli altri casi, può citarsi quello significativo dell’Australia, che ha istituito nel 2013 la Royal Commission into Institutional Responses to Child Sexual Abuse, con il compito di indagare tra l’altro istituzioni ed associazioni cattoliche in ordine all’accertamento di fatti criminosi. Il lavoro della Commissione si è protratto fino al 31 dicembre 2017, producendo un ponderoso rapporto finale del quale gran parte del volume XVI è dedicato alle realtà cattoliche nel Paese australe ed alle responsabilità della Chiesa per gli abusi sui minori [22].
Nel documento sono tra l’altro contenute molte raccomandazioni alla Conferenza episcopale australiana, che appaiono pesanti intromissioni negli interna corporis della Chiesa. Così ad esempio in materia di governo di diocesi e parrocchie, di nomina dei vescovi, di revisione del diritto penale canonico e in genere delle istituzioni ecclesiastiche alla stregua delle istituzioni secolari. In questo contesto si pone il problema della configurazione nell’ordinamento statale di un obbligo di denuncia da parte dell’ecclesiastico (così come dei ministri di culto delle altre confessioni religiose) di abusi sessuali, quando di questi sia venuto a conoscenza non solo nell’esercizio delle sue funzioni spirituali, ma addirittura nell’amministrazione del sacramento della penitenza. Ciò che si scontra, evidentemente con il principio canonistico della inviolabilità del “sigillo sacramentale”, per cui “non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa” (can. 983 § 1 c.i.c.). Si tratta di condotta penalmente perseguita dall’ordinamento canonico con la pena più grave: “Il confessore che viola direttamente il sigillo sacramentale incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica” (can. 1388 § 1) [23].
Altro caso esemplare è quello che riguarda la rivendicazione del sacerdozio femminile. Sussistono è vero tentativi di componenti del popolo di Dio di ricorrere al potere secolare per indurre la Chiesa ad ammettere le donne al sacerdozio ministeriale. Si tratta di tentativi che costituiscono una inammissibile tentazione – peraltro ricorrente nella storia – di riformare la Chiesa attraverso le leggi dello Stato; tentazione che oggi si qualifica come “una sorta di ‘giuridismo’ di segno antigerarchico ed antiromano” [24].
Ma è davvero sorprendente che da parte di studiosi “laici” (nel senso di laicisti), si reclami un intervento statale per introdurre nell’ordinamento canonico il sacerdozio femminile, in nome di una pretesa, ingiusta discriminazione di genere nella titolarità e fruizione dei diritti umani. Ed è interessante che da parte della dottrina costituzionalistica che si è posta il problema, si sia osservato come il femminismo – cui tale rivendicazione si riconduce – “ha molto lottato per l’accesso delle donne ai diritti politici […], ai diritti connessi all’habeas corpus (aborto, diritti riproduttivi) e alla famiglia (divorzio, abolizione patria potestà), al diritto al lavoro, mentre si è meno interessato alla esclusione delle donne dalla sfera del sacro. Ciò è dovuto anche al processo di secolarizzazione delle nostre società” [25].
I rigurgiti giurisdizionalistici che si registrano nelle società contemporanee sono paradossali, proprio perché si pongono in società profondamente secolarizzate. Ma il colmo del paradosso si coglie in quei casi, nei quali gli Stati sono indotti sostanzialmente a chiedere l’ausilio del diritto canonico, nella consapevolezza dei limiti della propria operatività e delle inevitabili conseguenze, quanto ad effettività, delle proprie norme, dell’inefficacia delle azioni amministrative e dell’inanità della funzione giurisdizionale. Cos’altro è, infatti, la pretesa della denuncia da parte dell’autorità ecclesiastica di comportamenti delittuosi, anche in quei Paesi nei quali la pedofilia non è perseguibile d’ufficio?
Qui è esemplare, ancora una volta, proprio la vicenda degli abusi sessuali verificatisi all’interno delle istituzioni ecclesiastiche o in genere cattoliche. Perché l’istanza di un rafforzamento delle norme interne canoniche per contrastare certe condotte, avanzata da parte di Stati e di organismi internazionali, suona come una richiesta di aiuto alla Chiesa nel rendere più efficace la lotta al triste fenomeno. A ben vedere, gli ordinamenti giuridici statuali che tra Ottocento e Novecento hanno messo fuori dalla porta il diritto canonico, ora lo riscoprono e ne invocano l’intervento [26].
Ma ciò sta a significare, in definitiva, il fallimento di un diritto secolaristicamente orientato.
4. Facilmente intuibile – e lo si è detto – che il diritto canonico, nella sua essenza, risulta assolutamente impermeabile da fenomeni secolaristici.
Il discorso però cambia se ci si sposta sul piano della riflessione dottrinale circa la realtà di questo diritto sacro, sulle difficoltà del governo ecclesiastico in un contesto secolarizzato, sulla sua recezione nel popolo di Dio, sulla sua effettività in rapporto ad una cultura diffusa, anche nel corpo ecclesiale, marcata dalla secolarizzazione [27]. Alcuni esempi potranno illuminare al riguardo.
Il primo è tratto, appunto, dagli sviluppi del pensiero canonistico nel Novecento. È ben noto che questo è stato dominato dall’irrompere della dottrina canonistica laica, cioè quella elaborata nell’ambito delle istituzioni universitarie e di ricerca civili in dissonanza con la grande tradizione della canonistica ecclesiastica, vale a dire quella sviluppata nelle università ed istituzioni ecclesiastiche. Reagendo a questa tradizione, caratterizzata essenzialmente dal metodo esegetico, la canonistica laica – segnatamente quella italiana – operò un grande sforzo di riconsiderare il venerando diritto della Chiesa secondo le più moderne concezioni e metodologie che segnavano gli sviluppi della dottrina giuridica secolare [28]. Quei canonisti, formati secondo il moderno metodo dogmatico, dettero un contributo fondamentale per far uscire il diritto della Chiesa dal ghetto in cui la cultura laicista ed il positivismo l’avevano ridotto.
Epperò questo poderoso sforzo intellettuale, condotto da canonisti di una levatura scientifica eccezionale, recava in sé un tarlo che era dato dal secolarismo intrinseco a quella cultura giuridica secolare che veniva utilizzata per studiare il diritto sacro; un secolarismo individuabile nel positivismo giuridico. La misura di ciò può aversi rammentando la nota tesi di Vincenzo Del Giudice, un cattolico tutto d’un pezzo, già professore all’Università del Sacro Cuore di Milano e poi alla Sapienza di Roma [29], secondo cui il diritto divino sarebbe stato vigente nell’ordinamento canonico solo in quanto positivizzato dal legislatore ecclesiastico [30]. È evidente in siffatta idea una venatura secolaristica inconferente col diritto della Chiesa, poiché il diritto divino in quanto tale è direttamente vigente nell’ordinamento canonico: anzi, ne costituisce il fondamento.
È da domandarsi al riguardo se queste lamentate derive della scuola canonistica laica italiana, espressioni di una inammissibile secolarizzazione, non siano state in qualche misura prodotte proprio dall’adozione da parte della Chiesa, nel 1917, del modello codificatorio (poi confermato nei codici canonici del 1983,per la Chiesa latina, e del 1990, per le Chiese orientali), che a sua volta avrebbe rappresentato un vero e proprio fenomeno di secolarizzazione del diritto canonico. Ciò, beninteso, non nel senso che questi abbia assunto i contenuti del diritto secolare, ma nel senso che ne ha assunto in gran parte la logica intrinseca e le categorie fondamentali.
A ben vedere, la codificazione del 1917 non si limitò a separare il diritto canonico dalla storia ma lo separò anche dalla teologia e, in un certo senso, anche dallo stesso diritto divino, come la teoria della canonizzazione di Del Giudice dimostrerebbe, nel senso che le norme del Codex, in quanto emanazione della suprema autorità della Chiesa, furono poste al vertice dell’ordinamento e osservate come tali, conferendo uniformità ma anche una certa rigidità al sistema.
Non par dubbio che la codificazione rispose all’epoca all’esigenza di fornire un efficace strumento di governo pastorale della Chiesa grazie alla recezione e adattamento di un nuovo ordine giuridico che fosse in sintonia con la modernità, ossia in grado di dialogare con essa e con gli Stati moderni (anche lo Ius Publicun eccclesiasticum ebbe questa origine e finalità [31]), fondato sull’estrema razionalizzazione ed astrazione delle categorie giuridiche e sulla centralizzazione e semplificazione del sistema delle fonti. Tuttavia ciò avvenne mediante la costruzione di un sistema tendenzialmente chiuso e potenzialmente autosufficiente che replicava quello delle codificazioni moderne nel segno della secolarizzazione del diritto, cioè della riduzione dell’universo giuridico alle norme poste dall’autorità (ecclesiastica) umana. In questo senso la codificazione fu davvero un evento che ha segnato profondamente l’evoluzione e il ruolo del diritto canonico nella Chiesa.
Quanto al tema della recezione del diritto canonico nel popolo di Dio, è sufficiente qui ricordare l’antigiuridismo che segnò l’età del post-concilio (ma in molti casi continua ancora a segnare il tempo presente), cui seguì uno spiritualismo diffuso sognante una Chiesa disincarnata, proteso verso un ritorno alla Chiesa primitiva, quasi che quello dell’incarnazione in una “compago socialis” non sia un principio tipico della dottrina cristiana [32]; quasi che l’iniziale granello di senape della comunità gerosolimitana delle origini non fosse destinato a divenire nel tempo un grande albero [33].
A ciò si accompagna tra i battezzati il crescente fenomeno di una religione individualista, che ha offuscato e talora perso la consapevolezza dell’appartenenza comunitaria e il senso del carattere istituzionale della Chiesa [34]. Si tratta di atteggiamenti mentali le cui origini in misura non piccola si devono ad uno spirito secolaristico che poco a poco è entrato anche nel sentire del christifideles e, quindi, nel corpo ecclesiale: un fenomeno in qualche modo speculare al processo di emarginazione e scomparsa del sacro dal pubblico, che come visto costituisce una delle note salienti della scolarizzazione nelle società contemporanee.
Più esteso, e per certi aspetti più drammatico, il processo di penetrazione della secolarizzazione nella cultura degli appartenenti al popolo di Dio, che conduce in alcuni casi a far perdere di effettività il diritto canonico. Il fatto non deve sorprendere, perché codesto popolo vive nei popoli di questa terra, respira lo spirito del tempo, in generale non vive in maniera difforme da quella dei contemporanei e conterranei. Lo notava già l’ignoto autore della lettera A Diogneto, dicendo che “i cristiani […] non si differenziano dagli altri uomini, né per territorio né per lingua o abiti. Essi non abitano in città proprie né parlano un linguaggio inusitato; la vita che conducono non ha nulla di strano”, anche se si premurava di precisare che essi “si sposano come tutti, generano figli, ma non espongono i neonati. Hanno in comune la mensa, ma non il letto”, mettendo così in evidenza la preoccupazione del cristianesimo primitivo – ma che è preoccupazione costante nella storia – di discostarsi dalle “usanze locali” quando queste confliggano con il credo cristiano. Perché essi “sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo” [35].
Ma mentre per lunghissimo tempo il cristianesimo ha forgiato cultura e costumi dei popoli dell’Occidente, oggi la secolarizzazione fa segnare un andamento inverso del processo di inculturazione.
Un caso emblematico si può cogliere in materia matrimoniale. Come bene è stato scritto, “in effetti, oggi, anche per i cattolici, a causa delle suggestioni della cultura nella quale sono immersi, il modello matrimoniale si è venuto per lo più discostando profondamente da quello canonicamente previsto dal codice del 1983, specialmente nei can. 1055, § 1 e 1057, § 2. Soprattutto nella società contemporanea si è modificato – e gli stessi fedeli finiscono per esserne più o meno fortemente influenzati – il rapporto tra la sessualità, la coniugalità e la procreazione, favorito da un contesto marcatamente individualistico, che contrassegna […] lo stesso religioso e l’ambito dei valori” [36].
La conseguenza sul piano giuridico-processuale del complessivo offuscamento dei tratti propri del matrimonio cristiano è, tra l’altro, l’entrata in crisi di presunzioni come quella contenuta nel can. 1060 del codice canonico, secondo cui “Il matrimonio ha il favore del diritto; pertanto nel dubbio si deve ritenere valido il matrimonio fino a che non sia provato i contrario”, o l’altra di cui al can. 1101 § 1, secondo cui “Il consenso interno dell’animo si presume conforme alle parole o ai segni adoperati nel celebrare il matrimonio”. Perché è evidente che sempre più larga è la porzione di quanti, pur celebrando un matrimonio-sacramento, in realtà non sono più in grado di averne una esatta rappresentazione a causa di una secolarizzazione che nell’ambito matrimoniale e familiare ha condotto, in sede civile, alla moltiplicazione dei matrimoni e delle famiglie e, in definitiva, alla fine del matrimonio civile. Ciò significa che costoro, pur celebrando matrimonio canonico, sono incapaci di volere realmente ciò che la Chiesa intende per matrimonio e famiglia, e quindi contraggono invalidamente.
L’effetto di ciò è la tendenza di parte della dottrina al superamento delle presunzioni in questione, perché in sostanza prive di riscontro con la realtà culturale della società contemporanea [37].
Ancora esemplari sono i problemi che derivano dall’incidenza delle legislazioni civili sulla normativa canonica, come ad esempio nel caso delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. È evidente che l’unione civile (o il matrimonio) tra persone dello stesso sesso non ha effetti nel diritto canonico; ma è certo che non possa sortire alcun effetto nell’ordinamento ecclesiale? Si pensi al can. 1093 c.i.c. contemplante l’impedimento matrimoniale di pubblica onestà, qualora uno dei due fidanzati eterosessuali, che intendono contrarre matrimonio canonico, abbia avuto una precedente unione civile con un consanguineo in primo grado del fidanzato attuale. Oppure si pensi al caso del riconoscimento canonico dell’adozione civile, prevista dal can. 110 c.i.c., nel caso che il minore sia stato adottato da coppia omosessuale. Anche questo è un caso di secolarizzazione che provoca consolidati schemi del diritto canonico [38].
Pure in altri settori del diritto della Chiesa possono rilevarsi situazioni analoghe. Basti menzionare il caso della disciplina delle persone giuridiche canoniche, in particolare quelle svolgenti attività educative e di assistenza, che sempre più tendono ad essere assoggettate a regimi civilistici che fanno forza sulla loro natura, sulle loro finalità, in ultimo sui loro valori, con l’effetto della perdita dell’identità e della confusione/assimilazione con una qualsiasi
istituzione filantropica ed umanitaria [39]. Si è osservato al riguardo che in questi casi “la secolarizzazione si tramuta in spinta verso la relativizzazione dei valori e la loro irrilevanza, assecondando il dominio di quella logica formale del diritto secolare che costituisce da sempre l’antitesi del diritto canonico nella sua secolare evoluzione storica” [40].
La deriva della lotta al diritto provocata (anche) dalla penetrazione della secolarizzazione nel corpo ecclesiale, è stata affrontata dalla istituzione ecclesiastica attraverso la due codificazioni canoniche post-conciliari, vale a dire quella per la Chiesa latina del 1983 e quella per le Chiese cattoliche orientali del 1990, nonché dalla congerie di legislazioni speciali e particolari, a cominciare da quelle di derivazione concordataria [41]. Come è stato osservato, ciò ha “segnato il superamento della stagione ‘antigiuridista’ nella teologia e nella canonistica post- conciliare”, però giustamente si è insinuato il dubbio se tale superamento sia avvenuto anche “nell’opinione pubblica e nella cultura cattolica” [42].
Ma è evidente che il problema è di ben più ampia portata: attiene alla crisi culturale che ha colpito l’Occidente ed ha investito la stessa concezione antropologica tradizionale; una crisi che, come più sopra accennato, si abbatte per diversi aspetti pure sul diritto canonico.
5. Se il processo di secolarizzazione del diritto si è mosso dall’esterno, dagli ordinamenti secolari, per procedere verso l’ordinamento canonico penetrandone qualche parte, è pensabile che un processo inverso possa attivarsi, in ragione di una serie di fatti che stanno ponendo in una crisi sempre più profonda i diritti secolari così come si sono conformati nei secoli più recenti.
In via preliminare c’è però da ripetere che la secolarizzazione non può incunearsi profondamente nel diritto sacro, giacché questo è tale proprio in ragione del suo radicamento religioso. Lo spirito del tempo può rendere più difficile la percezione dei valori su cui il diritto canonico poggia, può condizionare l’ermeneutica della dottrina e fors’anche qualche determinazione del legislatore, può ridurre eventualmente l’ambito dei soggetti destinatari dei suoi comandi. Ma è di tutta evidenza che un diritto canonico secolarizzato sarebbe una vera contradictio in terminis.
Il problema qui si pone in tutt’altro terreno che quello giuridico, e la sua soluzione dipende soprattutto dalla presenza pastorale della Chiesa e dalla efficacia della sua missione in un mondo che va rievangelizzato [43]. In questo senso il diritto canonico può svolgere una funzione strumentale, ma certo assai marginale rispetto alla poderosa azione apostolica presupposta da uno sforzo di nuova evangelizzazione.
D’altra parte non si deve dimenticare che se la Chiesa combatte la secolarizzazione, per altro verso “è diventata un’alleata nell’impegno per la secolarità dello Stato. Invece di considerarla un impedimento per l’annuncio del Vangelo, […] la ritiene piuttosto un’opportunità per esercitare la sua funzione d’insegnare secondo l’esempio di Gesù, che ha lasciato ai suoi ascoltatori la piena libertà di accettare o di rifiutare il messaggio divino” [44].
Tuttavia per quanto riguarda i diritti secolari è pensabile che il diritto canonico abbia delle chances fino ad ora impensabili.
Il motivo più evidente e viabile è legato alla accennata crisi del diritto secolare (o “diritto civile”, come lo indicano i canonisti) discendente (anche) dalla crisi dello Stato moderno. Nella post-modernità, tutti i “dogmi” giuridici su cui questo si era costruito stanno venendo meno: la territorialità della legge, la nazionalità della legge, il monopolio statuale della produzione del diritto positivo, l’uso della lingua nazionale, il sistema gerarchico delle fonti, il monopolio statuale della giurisdizione, ed ancora. Tutto sta cedendo sotto i colpi della globalizzazione e della egemonia del potere economico-finanziario, inevitabilmente ultrastatuale, che ha sostituito quello politico. L’esperienza giuridica si viene riorganizzando secondo paradigmi nuovi.
In questo sommovimento che segna una società ormai transnazionale e transculturale, giuridicamente retta da una pluralità di sistemi giuridici, il diritto canonico è in grado di offrire modelli, istituti, soluzioni normative che potrebbero essere positivamente ispiratrici, perché diritto personale e non territoriale, perché strutturalmente forgiato a coniugare unità e diversità, centralizzazione e localismi, perché dotato di massima flessibilità seppure nel quadro di princìpi-norme che tengono insieme il tutto (la famosa “elasticità” del diritto canonico), perché orientato alla centralità della persona umana, perché attento ad una giustizia che si ricava concretamente dal fatto e non si deduce da una norma astratta [45]. Ora, se l’esperienza giuridica del tempo che viviamo dovesse per avventura trarre ispirazioni dal diritto canonico, si verrebbe a riproporre sostanzialmente quanto già avvenuto nell’età di mezzo, con la grande fecondazione che esso ha reso ai diritti secolari, a cominciare dal diritto romano. Non si tratta di una ipotesi, tantomeno di un sogno, se stiamo a significativi indici rilevabili dalle evoluzioni del diritto internazionale e del diritto europeo, dove l’incidenza performante del diritto canonico è reale e molto più ampia di quanto potrebbe apparire [46].
Ma è del tutto evidente che una siffatta penetrazione canonistica nel tessuto dei diritti laici avrebbe inevitabilmente come suo effetto anche il recupero di una visione dell’uomo, della società, del giure affatto diversa dai postulati e dalle acquisizioni del diritto secolarizzato.
È stato osservato che “Paradossalmente è la posizione eccentrica del diritto canonico nell’universo giuridico – sia come ordinamento storico che come ordinamento cogente – a costituire la motivazione forte della sua rilevanza potenziale. L’ordinamento della Chiesa è un modello peculiare di diritto che, per le sue radici teologiche e le sue finalità spirituali, non solo ha saputo creare, in simbiosi col diritto civile, una civiltà giuridica nel lontano medioevo, ma continua a porsi come indispensabile alternativa dialettica e pietra di paragone per gli ordinamenti vigenti, perché in grado di tutelare l’ancoraggio alla sfera dei valori e l’orizzonte antropologico della prospettiva giuridica” [47].
Dunque la presenza stessa del diritto della Chiesa nell’attuale complessa realtà della vita giuridica a livello planetario costituisce, in definitiva, un richiamo pregnante sui rischi della fine del diritto come espressione di giustizia in una società pienamente secolarizzata; l’ostentazione del suo fondamento divino rappresenta, in una esperienza giuridica che viene perdendo il suo fondamento e cade di conseguenza nel relativismo, l’invito alla riscoperta di quei valori non di oggi ma di sempre, in cui si incarna l’idea di giustizia.
1) Vedi specificamente sul punto M. Weber, Economia e società, II, a cura di P. Rossi, Milano 1961, p. 184. Profonde considerazioni sull’attualità del fenomeno di una marcata riduzione del diritto a mera procedura in S. Berlingò, Nel silenzio del diritto. Risonanze canonistiche, il Mulino, Bologna 2016, p. 201 ss.
2) Per una sintesi sul pensiero kelseniano al riguardo si vedano le pagine di G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, III, Ottocento e Novecento, il Mulino, Bologna 1970, p. 333 ss.
3) F. D’Agostino, Diritto, religione e secolarizzazione, in G. Boni-E. Camassa-P. Cavana-P. Lillo-V. Turchi (a cura di), Recte sapere. Studi in onore di Giuseppe Dalla Torre, vol. II, Diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino 2014, p. 878.
4) Per una riflessione sui sistemi giuridici che utilizzano il nome di Dio per rafforzare il loro fondamento vedasi S. Cotta, Il nome di Dio nel linguaggio giuridico, in Itinerari esistenziali del diritto, Morano, Napoli 1972, p. 147 ss.
5) Così, ad esempio, P.A. Bonnet, Matrimonio ecclesiale e secolarizzazione, in Aa.Vv., Matrimonio canonico e culture, Libreria Editrice Vaticana 2015, p. 291 nota 1.
6) Cfr. R. David-C. Jauffret-Spinosi, I grandi sistemi giuridici contemporanei, Cedam, Padova 1994; S. Ferrari, Lo spirito dei diritti religiosi. Ebraismo, cristianesimo e islam a confronto, il Mulino, Bologna 2002.
7) P. Fedele, Lo spirito del diritto canonico, Cedam, Padova 1962.
8) Giova notare che uno dei principali documenti del Concilio Vaticano II, che richiama l’essere della Chiesa nel mondo e che invita i fedeli all’animazione cristiana dell’ordine temporale, vale a dire la costituzione Gaudium et spes, reca esplicitamente l’intitolazione di “costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo”. Per un commento recente cfr. E. Palladino, Gaudium et spes. Storia/ Commento/Recezione, Studium, Roma 2013.
9) Luca 12, 32.
10) Un saggio di comparazione, al riguardo, in P. Cavana, Interpretazioni della laicità. Esperienza francese ed esperienza italiana a confronto, Ave, Roma 1998.
11) Sulla preferibilità, dal punto di vista del diritto canonico, del termine “autonomia” rispetto a quello di “sovranità” cfr. G. Dalla Torre, La città sul monte. Contributo ad una teoria canonistica delle relazioni fra Chiesa e Comunità politica, 3 ͣ ed., Ave, Roma 2007, p. 61 ss.
12) La stessa Costituzione italiana all’art. 19, riguardante la libertà religiosa, parla solo di diritto individuale e collettivo (e qui si vede la matrice del pensiero liberale). Peraltro la libertà religiosa come diritto istituzionale è da rinvenirsi negli art. 7 e 8 della stessa (con evidente influsso del pensiero cattolico).
13) La complessità del processo risorgimentale è sottolineata da C. Cardia, Risorgimento e religione, Giappichelli, Torino 2011.
14) Ho approfondito questo aspetto nel saggio Libertà religiosa e secolarismo, in S. Amato-A.C. Amato Mangiameli-L. Palazzani (a cura di), Diritto e secolarizzazione. Studi in onore di Francesco D’Agostino, Giappichelli, Torino 2018, p. 253 ss.
15) Cfr. per tutti H.J. Berman, Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale, tr. it., il Mulino, Bologna1998.
16) P. Grossi, Diritto canonico e cultura giuridica, in C. Fantappiè (a cura di), Itinerari culturali del diritto canonico nel Novecento, Giappichelli, Torino 2003, p. 15 s.
17) G. Le Bras, La Chiesa del diritto. Introduzione allo studio delle istituzioni ecclesiastiche, con premessa all’edizione italiana di F. Margiotta Broglio, il Mulino, Bologna 1976, p. 248 s.
18) Sulla fine del matrimonio civile, proprio a causa della secolarizzazione subìta nel tempo dall’istituto, ho scritto molto. Cfr. da ultimo, ma con riferimento ai saggi precedenti, G. Dalla Torre, Il matrimonio tra diritto e legge. Sondaggi nella storia, in M. Tinti (a cura di), Famiglia e diritto nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014, p. 39 ss.
19)P. Grossi, Mitologie giuridiche della modernità, 3 ͣ ed., Giuffrè, Milano 2007.
20) Così J. Kepel, La rivincita di Dio, tr.it., Rizzoli, Milano 1991
21) Si rinvia in merito alla classica opera di A.C. Jemolo, Stato e Chiesa negli scrittori italiani del Seicento e del Settecento, Bocca, Torino-Roma-Milano 1914.
22) In tema vedasi M. Carnì, Segreto confessionale e derive giurisdizionaliste nel rapporto della Royal Commission australiana, in Diritto e Religioni, 2019, 1, p. 46 ss.
23) La Penitenzieria Apostolica, in una nota del 29 giugno 2019 ha ribadito la inviolabilità del sigillo sacramentale (cfr. in L’Osservatore Romano, 1-2 luglio 2019, p. 7 s., con un articolo illustrativo del cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, dal titolo Garanzia indispensabile). In materia cfr. B.F. Pighin, Diritto penale canonico, Marcianum, Venezia 2008, p. 429 ss. Sulla questione del sigillo sacramentale si veda il recente, documentatissimo saggio di G. Boni, Sigillo sacramentale e segreto ministeriale. La tutela tra diritto canonico e diritto secolare, in corso di pubblicazione in Jus-online. Rivista di Scienze Giuridiche a cura della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano.
24) Così C. J. Errázuriz M., Il diritto e la giustizia nella Chiesa. Per una teoria fondamentale del diritto canonico, Giuffrè, Milano 2000 p. 49.
25) I. Ruggiu, Articolo 19, in F. Clementi-L. Cuocolo-F. Rosa-G.E. Vigevani (a cura di), La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo, vol. I, Principi fondamentali e Parte I – Diritti e doveri dei cittadini (Artt. 1-54), il Mulino, Bologna 2018, p. 140.
26) In questo senso mi sembra doversi leggere il recente provvedimento con cui Papa Francesco ha abolito il segreto pontificio relativamente ai procedimenti canonici riguardanti abusi su minori, che pure è stato giudicato da qualche parte come un imperdonabile cedimento della Chiesa nei confronti del potere statale. Il riferimento è alla Istruzione Sulla riservatezza delle cause, pubblicata il 17 dicembre 2019, su cui cfr. J.I. Arrieta, Riservatezza e dovere di denuncia, e G. Dalla Torre, Un atto che facilita la collaborazione con l’autorità civile, in L’Osservatore Romano, 18 dicembre 2019, pp. 4-5.
27)Per un quadro profondo e articolato della situazione cfr. C. Cardia, L’esercizio del governo ecclesiastico in un contesto secolarizzato, in J. Miñambres (a cura di), Diritto canonico e culture giuridiche. Nel centenario del codex iuris canonici del 1917, EDUSC, Roma 2019, p. 431 ss.
28) Sulla scuola canonistica laica italiana, cfr. G. Boni, Le scuole del diritto canonico, in G. Dalla Torre-G. Boni, Conoscere il diritto canonico, Studium, Roma 2006, p. 93 ss. (in partic. p. 105 ss.).
29) Su cui cfr. F. Margiotta Broglio, Del Giudice, Vincenzo, in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi-E. Cortese-A. Mattone-M.N. Miletti, vol. I, il Mulino, Bologna 2013, p. 737 ss. Ma cfr. anche J.I Arrieta, Del Giudice, Vincenzo, in J. Otaduy-A. Viana-J. Sedano (a cura di), Diccionario general de Derecho Canónico, vol II, Universidad de Navarra- Aranzadi, Cizur Menor 2012, p. 1012 ss.
30) Vedasi V. Del Giudice, Canonizatio, in Scritti in onore di Santi Romano, VI, Padova 1940, p. 223 ss. Ma cfr. ancora in Id., Nozioni di diritto canonico, 12 ͣ ed. in collaborazione con G. Catalano, Giuffré, Milano 1970, p. 23 ss.
31) Sulla storia di questa disciplina canonistica cfr. A. De La Hera-Ch. Mounier, Le “droit public ecclésiastique” à travers ses définitions, in Revue de droit canonique, 1964. Più di recente M. Nacci, Origini, sviluppi e caratteri del jus publicum ecclesiasticum, Lateran University Press, Città del Vaticano 2010. Ma cfr. anche G. Boni, Il cardinale Giovanni Soglia Ceroni e lo jus publicum ecclesiasticum, in Historia et ius, 8, 2015, p. 1 ss. Sulle interrelazioni tra Jus publicum ecclesiasticum e codificazione rinvio a G. Dalla Torre, La Chiesa e gli Stati. Percorsi giuridici del Novecento, Studium Roma 2017.
32) Concilio Ecumenico Vaticano II, costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentiun, n. 8.
33) Per l’immagine evangelica cfr. Matteo 13, 31-32; Marco 4, 30-32; Luca 13, 18-19.
34) Su tutti questi aspetti ha scritto molto bene C. J. Errázuriz M., Il diritto e la giustizia nella Chiesa, cit., p. 41 ss.
35) V, 1- 6. I passi citati possono leggersi in A Diogneto, introduzione, traduzione e note di S. Zincone, 3 ͣ ed., Borla, Roma 1984, p. 63 ss.
36) Così P.A. Bonnet, Matrimonio ecclesiale e secolarizzazione, in Aa.Vv., Matrimonio e culture, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, p. 299 s.
37) Cfr. una puntuale messa a fuoco del problema in P.A. Bonnet, Le presunzioni legali del consenso matrimoniale canonico in un Occidente secolarizzato, Giuffrè, Milano 2006.
38) Molto interessante al riguardo il saggio di L. Danto, Evolutions des législations civiles et incidences sur la législation canonique. L’exemple des unions civiles de personnes de même sexe et de l’homoparentalité , in J. Miñambres (a cura di), Diritto canonico e culture giuridiche, cit., p. 481 ss.
39) La preoccupazione di salvaguardare l’identità cattolica di tali istituzioni è evidente nel m.p. di Benedetto XVI Intima Ecclesiae natura, dell’11 novembre 2012, col quale si è dettata una normativa diretta a colmare una lacuna del codice canonico del 1983. Sul documento cfr. Pontificio Consiglio Cor Unum (a cura di), Il servizio della carità: corresponsabilità & organizzazione, Atti della giornata di studio sul Motu Proprio Intima Ecclesiae natura: 13 dicembre 2013, Città del Vaticano 2014.
40) Così P. Cavana nell’ottima relazione su Enti della Chiesa e diritto secolare, in J. Miñambres (a cura di), Diritto canonico e culture giuridiche, cit., p. 543
41) Sull’inimmaginabile proliferazione dell’attività negoziale della Santa Sede dopo il Concilio Vaticano II, e soprattutto sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, cfr. G. Dalla Torre, L’attività concordataria di Giovanni Paolo II, in L. Gerosa (a cura di), Giovanni Paolo II: legislatore della Chiesa. Fondamenti, innovazioni, aperture, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, p. 80 ss.
42) C. Fantappiè, Scienza canonica del Novecento. Percorsi nelle chiese cristiane, in Itinerari culturali del diritto canonico nel Novecento, a cura dello stesso, Giappichelli, Torino 2003, p. 174. In tema si vedano i penetranti rilievi di S. Dianich, Riforma della Chiesa e ordinamento canonico, Edizioni Dehoniane, Bologna 2018, il quale rileva tra l’altro che “è mancata una reale attivazione di strumenti giuridici capaci di sostenere quel ruolo fondamentale che ha tutto il popolo di Dio nell’attuazione della missione della Chiesa nel mondo. Uno sviluppo di più ricche forme di sinodalità avrebbe permesso un rimbalzo più efficace dell’esperienza, che i fedeli vivono nel mondo in trasformazione, all’interno della vita delle comunità e nell’impostazione dei rapporti fra le diverse componenti. Per questo, nonostante la emanazione di un nuovo Codice di diritto canonico, la sensazione che una più efficace riforma delle istituzioni e delle strutture ecclesiastiche sia oggi necessaria è diffusa nella Chiesa” (p. 16).
43) Non è un caso l’istituzione, da parte di Benedetto XVI nel 2010, del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, nel cui statuto (art. 2) è detto che il Dicastero è “al servizio delle Chiese particolari, specialmente in quei territori di tradizione cristiana dove con maggiore evidenza si manifesta il fenomeno della secolarizzazione” (A.A.S. 102 (2010), p. 788 ss.)
44) U. Rhode, La funzione di insegnare della chiesa in un contesto secolarizzato, in J. Miñambres (a cura di), Diritto canonico e culture giuridiche, cit., p. 419.
45) È stato incisivamente affermato: “Dall’esperienza giuridica canonistica […] i legislatori secolari avrebbero forse da imparare nell’avvenuto tramonto della territorialità e della nazionalità del diritto di cui siamo stati spettatori, sul piano pubblicistico, ovvero nell’occaso della pretesa di un’uguaglianza indifferenziata e matematica per schiudersi all’apoteosi del riconoscimento delle diversità, su quello privatistico, se così (sia pure non del tutto propriamente) ci possiamo esprimere” (G. Boni, Una disciplina in significativo sviluppo. Un giro d’orizzonte sulle monografie canonistiche pubblicate dal 2012, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2015, 2, p. 255).
46) Per esempio con riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e soprattutto alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo cfr. J.-P. Schouppe, Diritto dei rapporti tra Chiesa e comunità politica. Profili dottrinali e giuridici, Edusc, Roma 2018, p. 202 ss., 233 ss. Più in generale: G. Barberini, Il contributo della dottrina cattolica per l’elaborazione dei principi di diritto internazionale, Cosenza 2012.
47) C. Fantappiè, Il diritto canonico: una creazione giuridica superata?, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2017, 1, p. 251.