Di seguito l’intervento del Prof. Paolo Cavana, discussant del Prof. Giuseppe Dalla Torre nel corso del 69° Convegno Nazionale di Studio, tenutosi a Roma il 6 e 7 dicembre 2019.

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Il diritto canonico nell’età secolare (Discussant)

Paolo Cavana

Sommario: 1. Introduzione- 1.1 La secolarizzazione del diritto canonico – 1. 2 Processo di secolarizzazione e Chiesa cattolica in Europa – 1.3 -Il diritto canonico nell’età secolare: tendenze e sfide – 2 Modelli recenti di secolarizzazione del diritto canonico – 2.1 La codificazione – 2.2. Una Costituzione per la Chiesa: il progetto di Lex Ecclesiae Fundamentalis – 2.3 Il dibattito sui diritti fondamentali del fedele e la loro tutela – 3. Limiti del diritto canonico e suo rapporto con gli ordinamenti secolari – 3.1 Gli abusi sessuali del clero sui minori – 3.2 La gestione economica degli enti ecclesiastici – 3.3 Osservazioni conclusive

1. Rispetto alla relazione, ampia e stimolante, di Giuseppe Dalla Torre, svilupperò tre osservazioni, non oppositive ma complementari e integrative. La prima riguarda il concetto di secolarizzazione in relazione al diritto canonico, la seconda alcuni modelli di secolarizzazione del diritto canonico che hanno profondamente inciso sulla sua evoluzione recente, mentre la terza verterà sui limiti dell’ordinamento canonico e sul suo rapporto con gli ordinamenti secolari nell’attuale momento storico.
1.1. Come noto quello di secolarizzazione è un concetto complesso, plurisenso e in sé ambiguo, tanto più se abbinato a quello di “età secolare”, che ha assunto negli studi più recenti un significato autonomo e più specifico [48]. La secolarizzazione, come processo storico, è fenomeno intrinseco al diritto canonico, nel senso che la Chiesa e il suo diritto, in virtù del mistero dell’Incarnazione, sono destinati per loro stessa natura ad incarnarsi nel “secolo”, ossia nel tempo storico, assumendo sue categorie e concetti anche giuridici per ivi tramettere il messaggio cristiano. Assai diversa appare, sotto questo profilo, l’esperienza di altri diritti religiosi, tra cui il diritto islamico e, in misura diversa, anche il diritto ebraico, veri e propri diritti sacri in forza della loro diretta origine divina, per i quali parlare di una loro “secolarizzazione” potrebbe suonare come tradimento della loro originaria natura [49].

Ecclesia vivit iure romano, recita un antico adagio, che indica come per secoli la Chiesa abbia vissuto ed operato facendo proprie le categorie e i concetti giuridici della società in cui viveva, quella romana, rinnovandoli poi dall’interno attraverso il messaggio cristiano. Lo stesso accade oggi, anche grazie ad una forte valorizzazione delle fonti di diritto particolare e dello ius proprium delle comunità religiose. In questo senso si può affermare che la secolarizzazione è il veicolo necessario per l’inculturazione del messaggio cristiano e per l’evoluzione anche del suo diritto, salvo che non degeneri in mondanizzazione (o secolarismo), che è assunzione acritica di categorie, prassi di governo e pratiche di vita provenienti dalla realtà storica e dagli ordinamenti secolari ma incompatibili con i principi cristiani.
La Chiesa e il suo diritto operano da sempre lungo questo sottile crinale, che divide la secolarizzazione, come processo di reciproca influenza che rende possibile l’azione della Chiesa e la trasmissione del messaggio cristiano nella storia, influenzando anche l’evoluzione degli ordinamenti giuridici secolari [50], dalla mondanizzazione, quando l’influenza o pressione esercitata dal saeculum degenera, si fa dominante e tende ad allontanare la Chiesa e la comunità dei fedeli dalla sequela di Cristo. Questo rischio, che la secolarizzazione degeneri in mondanizzazione soprattutto sul piano della mentalità e degli stili di vita dei cristiani, ma con ripercussioni anche sull’esperienza giuridica ecclesiale, è sempre presente, e Papa Francesco lo richiama di frequente nel corso della sua attività pastorale [51].

1. 2 Vi è poi un secondo, e oggi più diffuso, significato di secolarizzazione, ideologicamente e sociologicamente connotato e ambivalente nei suoi effetti, che indica invece quella teoria secondo cui il progresso e l’avanzare della modernità procedono di pari passo con l’abbandono della religione come fondamento della vita sociale e individuale e delle istituzioni politiche, e questa viene vista al contrario come possibile fattore di turbamento dell’ordine pubblico (la memoria delle guerre di religione), di arretratezza culturale (illuminismo), se non come vero e proprio ostacolo allo sviluppo dell’uomo e della società (ideologie del XIX e XX sec.) [52]. Da cui due processi di grande importanza che hanno fortemente inciso sull’evoluzione degli ordinamenti giuridici secolari: da un lato la progressiva scissione, consumatasi in Europa con la Rivoluzione francese, tra l’appartenenza religiosa e la cittadinanza politica mediante l’affermazione del principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzione di religione, che ha portato al superamento dello Stato confessionista; dall’altro la concezione della religione come fenomeno da confinare nella sfera privata dell’individuo, fino ad espellerla dalla sfera sociale e pubblica mediante politiche di laicizzazione forzata delle istituzioni pubbliche e della vita sociale [53].

Questa teoria della secolarizzazione, come noto, è stata dominante in Europa negli ultimi tre secoli, avviando e portando a compimento un processo di laicizzazione degli ordinamenti giuridici che, se da un lato ha teso a relegare il fattore religioso nel chiuso delle coscienza individuali, dall’altro ha contribuito all’affermazione del principio di laicità dello Stato, basato sulla distinzione evangelica tra Cesare e Dio [54]. Nella sua valenza antireligiosa questa teoria si è però progressivamente esaurita a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, con la graduale riconquista della sfera pubblica da parte delle religioni [55], che appaiono oggi, nel bene o nel male, un dato costitutivo dell’attuale realtà di un mondo e di una comunità internazionale sempre più globalizzati, rispetto ai quali l’esistenza di ordinamenti programmaticamente ostili, o anche solo indifferenti, alla religione o alla sua rilevanza pubblica appare piuttosto l’eccezione che la regola [56].

1.3 Vi è infine anche un terzo significato di secolarizzazione, emerso nella sociologia contemporanea e sul quale si trova una approfondita riflessione nel volume di Charles Taylor, L’età secolare (A Secular Age), pubblicato nel 2007 [57].

Per Taylor, accanto a due significati tradizionali di secolarizzazione – come fenomeno sociologico reale che si manifesta nel distacco delle istituzioni e degli spazi pubblici dalla religione e come progressiva riduzione della partecipazione al culto e degli stessi credenti – vi è un terzo significato, su cui si concentra la sua analisi, consistente negli effetti del “passaggio da una società in cui era virtualmente impossibile non credere in Dio ad una in cui la fede,anche per il credente più devoto, è solo una possibilità umana tra le altre”, e forse tra le meno attraenti, ovvero un’opzione [58].
Questo terzo significato di secolarizzazione, come generale “contesto di comprensione” in cui viviamo, fatto non solo di “credenze”, maturate e coltivate per lo più all’interno di un ambiente familiare e sociale religiosamente omogeneo, ma primariamente di “esperienze” vissute – più precisamente di “condizioni di esperienza e ricerca dello spirituale” (Taylor) [59] in una realtà plurale e culturalmente frammentata [60] – mi sembra che possa incidere anche sulla comprensione del ruolo del diritto canonico nell’epoca attuale, suggerendo spunti di riflessione e motivi di approfondimento.
Il tema mi sembra essere quello, ricorrente ma sempre fondativo nella storia e nella stessa autocomprensione della Ecclesia semper reformanda, del rapporto tra gerarchia e fedeli, che deve essere oggi meno paternalista e “clericale”, usando un’espressione cara all’attuale Pontefice, e molto più coinvolgente e partecipativo [61], e dei modi di appartenenza alla Chiesa, che da rigidi e autoritativi tendono a diventare, sul piano della prassi ecclesiale e della disciplina giuridica, più aperti e flessibili, come emerge anche nell’esortazione Amoris laetitia di papa Francesco, recuperando l’immagine di una Chiesa come Popolo di Dio in cammino, pellegrinante nella storia, nella quale anche l’accesso ai sacramenti, fondamentale nutrimento spirituale dei fedeli, appare connotato in termini meno sacrali e più attenti alle reali situazioni di vita delle persone [62].
In un mondo tendenzialmente chiuso alla trascendenza e ripiegato sulla sola dimensione immanente, cioè l’età secolare, tende a mutare anche il baricentro della missione della Chiesa e del suo diritto. Ne risulta rafforzato il suo ruolo profetico su quello di governo. E’ quanto sembra affermare anche l’attuale Pontefice laddove, nell’Evangelii gaudium e in altri suoi documenti, invita ad “avviare processi più che a dominare gli spazi” (n. 223): cioè a privilegiare processi di conversione personale promossi dalla spinta missionaria e di testimonianza della Chiesa e dei credenti verso l’esterno, con l’immagine di una Chiesa in uscita, piuttosto che la pretesa di governare una comunità di fedeli tutta ripiegata su sé stessa e sul rispetto della dottrina, pur fondamentale, con il rischio di una progressiva chiusura alle esigenze dell’evangelizzazione e della testimonianza cristiana, che richiede sempre apertura verso l’altro e rispetto per la sua umanità.

Come pure la funzione di santificazione (munus sanctificandi), che accanto a quella dell’annuncio della Parola di Dio (munus docendi) è fondativa della Chiesa e del suo diritto, viene progressivamente intesa in modo parzialmente diverso, al servizio non di un’appartenenza ecclesiale statica, funzionale alle esigenze di governo della comunità dei credenti, ma di una crescente apertura della Chiesa come “casa aperta del Padre” in funzione del suo perenne mandato missionario, da cui la visione dei sacramenti come viatico nel pellegrinaggio terreno, non solo come mèta di perfezionamento interiore [63].

Da questo differente approccio può derivare il passaggio da una certa uniformità normativa, suggerita dalle esigenze del governo centrale della Chiesa, ad una maggiore decentralizzazione o policentrismo delle fonti, secondo un indirizzo che mira a tener conto maggiormente delle differenti esigenze e tradizioni dei vari popoli e culture. Come pure si fa sempre più evidente l’esigenza, vera e propria necessità sul piano epistemologico, di un mutamento di prospettiva dell’interpretazione canonica, che “deve ritornare a essere un ‘processo’ e non un ‘atto’, e un processo in cui convergono il legislatore, i dottori, il giudice e i soggetti cui essi fanno riferimento (il populus Dei) nel momento di formulare e di applicare la norma” [64].

In questo senso anche per la Chiesa cattolica la sfida è la globalizzazione, che la porta ad uscire dal suo alveo di matrice europea e occidentale e da un sistema normativo chiuso, statico ed autoreferenziale per abbracciare davvero tutti i popoli della terra e le loro culture, come pure il processo continuo e ininterrotto di ibridazione culturale e comunicativa veicolato dalle moderne tecnologie, con i quali anche il suo ordinamento giuridico e le sue strutture organizzative e gestionali devono confrontarsi. Si attenua per certi versi il centralismo normativo romano, dominante nell’età della codificazione, a vantaggio di una maggiore autonomia delle Chiese particolari e dei loro raggruppamenti, che si riflette in un crescente particolarismo delle forme giuridiche anche in relazione ai differenti ordinamenti secolari nei quali le comunità cristiane sono chiamate ad operare, secondo una linea fondata su un

autentico universalismo posto al servizio delle differenti esigenze dell’annuncio e della missione nelle varie parti del mondo65.

2. La secolarizzazione del diritto canonico, ovvero la sua contaminazione con modelli o categorie degli ordinamenti secolari, può avere effetti positivi, se tali modelli favoriscono e risultano in sintonia con la missione della Chiesa, ovvero negativi, se questi si rivelino incompatibili o distonici rispetto alle peculiarità e allo spirito dell’ordinamento ecclesiale.

In questo senso molto si è discusso, anche di recente, della codificazione come veicolo di secolarizzazione del diritto canonico.

Nella sua bella relazione Giuseppe Dalla Torre osserva: “È facilmente intuibile che il diritto canonico, nella sua essenza, risulta assolutamente impermeabile da fenomeni secolaristici”66. Certo, se si intende come essenza e fondamento del diritto canonico il diritto divino, si può certamente comprendere e condividere questa affermazione. Tuttavia a me pare che, espressa in termini così categorici, essa forse prova troppo, perché il diritto canonico positivo è fatto anche – e soprattutto – da molte disposizioni e istituti giuridici di origine umana. Senza contare che anche il diritto divino, al pari del Verbo incarnato, nella concezione cristiana deve incarnarsi in forme umane, per loro natura sempre soggette all’usura del tempo e all’imperfetta comprensione degli uomini.

2.1 Per giudizio sostanzialmente unanime della dottrina la codificazione, ossia l’adozione del modello codificatorio nel 1917, ha rappresentato un vero e proprio fenomeno di secolarizzazione del diritto canonico. Non nel senso che questi abbia assunto i contenuti del diritto secolare, ma nel senso che ne ha assunto in gran parte la logica intrinseca e le categorie fondamentali. La nascita della scuola laica del diritto canonico, cui ha accennato nella sua relazione Giuseppe Dalla Torre, ne fu quasi una inevitabile conseguenza, che si produsse grazie ad una scienza giuridica, quella italiana, estremamente raffinata.

La codificazione del 1917 non si limitò a separare il diritto canonico dalla storia ma lo separò anche dalla teologia e, in un certo senso, anche dallo stesso diritto divino, come la teoria della canonizzazione di Vincenzo Del Giudice ebbe a dimostrare, nel senso che le norme del Codex, in quanto emanazione della suprema autorità della Chiesa, furono poste al vertice dell’ordinamento e osservate come tali, conferendo uniformità ma anche una certa rigidità al sistema [67]. Essa rispose all’epoca all’esigenza di fornire un efficace strumento di governo pastorale della Chiesa grazie alla recezione e all’adattamento di un nuovo ordine giuridico – quello codificatorio – che fosse in sintonia con la modernità, ossia in grado di dialogare con essa e con gli Stati moderni (anche lo Ius Publicum Ecclesiasticum ebbe questa origine e finalità), fondato sulla razionalizzazione ed astrazione delle categorie giuridiche e sulla centralizzazione e semplificazione del sistema delle fonti.La scelta della codificazione segnò anche, all’indomani della fine del potere temporale dei Papi, “il passaggio da un diritto canonico contaminato da elementi di temporalità a un diritto canonico più conforme alla missione spirituale della Chiesa”, come è stato precisato in modo autorevole [68]. E tuttavia ciò avvenne mediante la costruzione di un sistema tendenzialmente chiuso e potenzialmente autosufficiente che replicava quello delle codificazioni moderne nel segno della secolarizzazione e positivizzazione del diritto, cioè della riduzione dell’universo giuridico ecclesiale alle norme storicamente poste dall’autorità (ecclesiastica) umana [69]. In questo senso la codificazione fu davvero un evento che ha segnato profondamente l’evoluzione e il ruolo del diritto (canonico) nella Chiesa [70].
Ci volle il Concilio Vaticano II, con i suoi documenti non solo pastorali ma di rilevanza canonistica e costituzionale [71], a far riscoprire il diritto divino come fondamento effettivo dell’ordinamento giuridico della Chiesa, conferendo nuova linfa ad un diritto canonico che si era rattrappito nelle forme asfittiche del positivismo giuridico, il quale era stato ampiamente coltivato anche in ambito ecclesiale – non solo dalla dottrina ma dalla stessa autorità ecclesiastica – mediante l’affermazione e imposizione del metodo esegetico [72].
2.2 In tempi più recenti, ovvero negli anni immediatamente successivi alla celebrazione del Concilio Vaticano II (1962-1965), anche il progetto di una Lex Ecclesiae Fundamentalis e l’affermazione dei diritti fondamentali dei fedeli, in quanto frutto di una parziale recezione delle dottrine costituzionalistiche sviluppatesi negli ordinamenti secolari, possono intendersi come esempi di secolarizzazione del diritto canonico.
Nel nuovo clima post-conciliare il timore di una mondanizzazione del diritto canonico portò, come noto, all’accantonamento del progetto della Lex Ecclesiae Fundamentalis, quasi una sorta di costituzione giuridica della Chiesa, sull’esempio delle costituzioni rigide degli Stati contemporanei, che avrebbe dovuto indicare, secondol’originaria intenzione di Paolo VI e del suo principale ideatore, mons. Klaus Mörsdorf, le strutture fondamentali di governo della Chiesa e formare in chiave ecumenica la base comune per i due codici della Chiesa latina e delle Chiese orientali. Inoltre essa si proponeva di valorizzare i diritti fondamentali del fedele nella Chiesa universale, conferendo alle sue disposizioni un valore giuridico superiore ad ogni altra legge o decreto dell’autorità ecclesiastica, riservando al solo Pontefice il potere di abrogarle [73].
Il progetto, di cui si discusse molto nel corso degli anni del post-concilio e di cui furono presentate più versioni, suscitò molte reazioni anche di carattere critico. Due le principali: la Chiesa ha già una sua costituzione, ovvero il suo documento fondativo che è il Vangelo, corrispondente pienamente alla sua natura, al tempo stesso carismatica e istituzionale, mentre una costituzione in senso giuridico, di carattere rigido, ne avrebbe stravolta l’intima essenza e natura; inoltre – seconda importante obiezione – un simile progetto, se approvato, avrebbe determinato un’ulteriore centralizzazione e irrigidimento dell’ordinamento ecclesiale, facendo proprie categorie e istituti del moderno costituzionalismo, fondati su concetti – quali quelli di democrazia e di libertà individuale – da ritenersi incompatibili con la realtà ecclesiale. Entrambe le critiche indicavano un pericolo di mondanizzazione della Chiesa e del suo diritto. Per questo esso fu poi abbandonato da Giovanni Paolo II, che incluse però nel nuovo Codice di diritto canonico del 1983 l’ampio elenco dei diritti fondamentali dei fedeli (e dei fedeli laici) che era stato elaborato nell’ambito del progetto della LEF [74].
Come noto Giovanni Paolo II, pur mantenendo lo strumento codificatorio, ne rinnovò profondamente l’impianto rispetto al Codex del 1917, rendendolo più aderente alla visione della Chiesa come Popolo di Dio affermata dal Concilio, che si riflette nella struttura del Libro II del Codice, e valorizzando le sue peculiari funzioni, irriducibili a quelle degli Stati e degli ordinamenti secolari, dedicando due autonomi libri al munus docendi (Libro III) e al munus sanctificandi Ecclesiae (Libro IV).
Inoltre, per evitare il possibile rischio di ricadere in una mentalità positivista e normativista, nella costituzione apostolica “Sacrae disciplinae leges” di promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico (1983) venne indicato il corretto criterio interpretativo del Codice, le cui disposizioni vanno lette e interpretate sempre alla luce della visione ecclesiologica espressa nei documenti conciliari:

Lo strumento, che è il Codice, corrisponde in pieno alla natura della Chiesa, specialmente come viene proposta dal magistero del Concilio Vaticano II in genere, e in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi, in un certo senso, questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè la ecclesiologia conciliare. Se poi è impossibile tradurre perfettamente in linguaggio «canonistico» l’immagine della Chiesa, tuttavia a questa immagine il Codice deve sempre riferirsi, come a esempio primario, i cui lineamenti esso deve esprimere in se stesso, per quanto è possibile, per sua natura.

Da qui derivano alcuni criteri fondamentali, che reggono tutto il nuovo Codice, nell’ambito della sua specifica materia, come pure nel linguaggio collegato con essa. Si potrebbe anzi affermare che da qui proviene anche quel carattere di complementarietà che il Codice presenta in relazione all’insegnamento del Concilio Vaticano II, con particolare riguardo alle due costituzioni, dogmatica «Lumen Gentium» e pastorale «Gaudium et Spes».[75]

2.3 D’altra parte, il timore di una secolarizzazione – intesa come mondanizzazione – del diritto canonico ha portato anche a qualche fraintendimento circa la natura e la funzione del diritto, che non è quella di essere mera sovrastruttura di una realtà di natura (ideologica o) teologica, essenzialmente astratta, ma di assicurare all’interno di ogni società o comunità umana la giustizia nelle relazioni intersoggettive, tenendo conto del carattere storico e mutevole della realtà sociale ed umana [76].
In questo senso la vicenda dei diritti fondamentali dei fedeli e il relativo dibattito dottrinale sono stati emblematici della difficoltà di tradurre i principi conciliari in adeguate soluzioni giuridiche. L’esito di tale dibattito è stato forse anche il frutto di un equivoco, nato dalla preoccupazione di voler distinguere una giuridicità ecclesiale, di natura solo analogica, fondata teologicamente sul concetto di communio e animata dalla grazia, dalla giuridicità secolare, e i diritti del fedele, come espressione propria e specifica della realtà ecclesiale (communio), rispetto ai diritti come affermatisi negli ordinamenti moderni, intesi come espressione di una concezione radicalmente individualista e, come tale, irriducibile all’esperienza ecclesiale [77].
Questo approccio, essenzialmente teologico e non giuridico, al diritto canonico ha paradossalmente assecondato, in una curiosa eterogenesi dei fini, il sostanziale accantonamento di una delle più importanti linee di riforma del diritto canonico post-conciliare, indicate dal Sinodo dei Vescovi del 1967 tra i principi che avrebbero dovuto ispirare la revisione del Codice, ovvero l’istituzione di un sistema di giustizia (amministrativa) nella Chiesa come strumento di tutela dei diritti dei fedeli nei confronti dell’autorità ecclesiastica [78]. Una riforma mal vista da alcuni in quanto ritenuta frutto di un’indebita secolarizzazione del diritto canonico, ispirata a modelli di tutela dei diritti propri degli ordinamenti secolari ma che, in realtà, il diritto canonico aveva sostanzialmente già conosciuto nella sua esperienza millenaria e la cui recezione avrebbe forse impedito, o almeno ridotto, alcuni dei più gravi abusi nell’esercizio della sacra potestas che sono stati alla base di molti scandali emersi negli anni successivi. In assenza di un effettivo sistema di tutela giurisdizionale, la previsione di un elenco di diritti fondamentali dei fedeli, fondati sul comune battesimo e salutata all’epoca come una delle grandi novità del nuovo Codice, si è rivelata col tempo fonte di frustrazione per i fedeli e di perdita di credibilità da parte dell’istituzione ecclesiale.
Sul piano teorico la dottrina della fondazione teologica del diritto canonico è incorsa inoltre nell’equivoco di ritenere che la concezione individualista e positivista dei diritti soggettivi, di matrice protestante, fosse la sola ad aver ispirato la teoria dei diritti fondamentali negli ordinamenti secolari, rendendola come tale inapplicabile alla Chiesa [79]. In realtà vi è anche una concezione personalista e quindi cristiana di tali diritti che, oltre ad avere solide radici nella dottrina pre-conciliare sui diritti dei fedeli [80], ha contribuito alla loro formulazione in molte delle Costituzioni del secondo dopoguerra in molti paesi europei, tra cui l’Italia, e che li rende accettabili, ed anzi oggi più che mai necessari, per restituire credibilità e legittimazione all’ordinamento ecclesiale [81] e per contrastare quella deriva individualista dei “nuovi diritti”, frammentati e privi di legittimazione etica, che sembra aver conquistato gli ordinamenti secolari [82].
Del resto, è proprio da una migliore e più adeguata comprensione e tutela dei diritti della persona umana, che costituiscono parte del diritto divino naturale, che anche la Chiesa e il suo ordinamento dovranno ripartire per affrontare le sfide del nostro tempo, tra cui quella degli abusi del clero nei confronti dei minori, della tutela del creato e del ruolo della donna nella Chiesa. Tutte tematiche che richiedono, per essere adeguatamente affrontate, un approccio nuovo da parte della comunità ecclesiale, che parta dalla valorizzazione e centralità dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali, intesi quest’ultimi secondo la concezione personalista cristiana, nella quale il bene del singolo deve sempre essere armonizzato con il bene comune e con i diritti degli altri soggetti.
La teologia del diritto canonico ha svolto un importante ruolo negli anni successivi al Concilio per indirizzare la revisione del Codex verso una piena recezione dei principi conciliari e per ravvicinare il diritto canonico alle sue basi teologiche, superando l’impostazione dogmatico-positivista e le incrostazioni dottrinali che avevano dominato la canonistica dopo la codificazione del 1917. Oggi però la Chiesa e il suo diritto si trovano a dover affrontare una realtà assai diversa, che ne ha frantumato – per effetto della caduta dei muri ideologici e del progresso tecnologico – la sua antica compattezza di societas perfecta, come pure ha infranto la secolare convergenza degli ordinamenti secolari e di quello canonico su alcuni fondamentali principi etici di natura antropologica [83].

Per contro la legislazione concordataria, che per la Chiesa è una fonte autorevole di diritto canonico particolare (cfr. Acc. 1984, art. 1), ha sempre dimostrato maggiore consapevolezza del legame indissolubile che intercorre tra la comunità ecclesiale e la realtà umana e sociale. Forse è proprio da qui, dalla concretezza dei rapporti che si instaurano tra la Ecclesia e la società civile, ove emergono i problemi reali di convivenza e di libertà dei fedeli, che occorre ripartire per restituire al diritto canonico quel giusto equilibrio tra presupposti teologici e forma giuridica che sembra a volte essersi smarrita [84].

3. L’ordinamento canonico si è sviluppato negli ultimi secoli come un sistema in sé completo ed autosufficiente, distinto e indipendente rispetto a quello dello Stato, che nella visione dualista cristiana ne rappresenta la necessaria integrazione in re temporali e al tempo stesso il principale limite alle sue prerogative. Oggi esso appare però in grande difficoltà a disciplinare efficacemente fenomeni che pure ricadono tradizionalmente entro la sfera della giurisdizione ecclesiastica.
Basti pensare al sistema dei controlli canonici per la gestione degli enti e delle istituzioni ecclesiastiche, che costituiscono il principale strumento per la missione della Chiesa, e al diritto penale canonico come argine e deterrente contro le offese più gravi alla fede e alla testimonianza cristiana nel mondo: in entrambi i casi le relative norme del Codice di diritto canonico si sono rivelate insufficienti e, forse, inadeguate ad affrontare dinamiche sociali in rapido cambiamento, da parte di una Chiesa che ha perso, come pure molte società politiche, quella coesione e unitarietà interna che l’avevano fortemente compattata negli ultimi secoli, a partire quanto meno dalla reazione alla Riforma protestante.
Di fronte a queste sfide sembra che la Chiesa – una Chiesa, peraltro, sempre più impegnata nel secolo – e il suo diritto abbiano oggi sempre più bisogno del sostegno dello Stato e delle sue istituzioni per proteggere e tutelare la comunità ecclesiale da gravi abusi commessi al suo interno. Come pure, del resto, lo Stato e il suo diritto hanno bisogno della Chiesa e delle altre confessioni religiose per alimentare di valori la società civile e quella politica [85].

3.1 Sulla gravissima questione degli abusi sessuali del clero sui minori, vera contro-testimonianza di una parte dell’istituzione ecclesiastica, il diritto canonico è risultato impotente. Non entro nel merito delle soluzioni proposte e adottate. Certo non ha aiutato, a mio parere, ad affrontare il problema l’idea di un diritto canonico generato non dal dinamismo spontaneo della convivenza umana, ove il bene vive sempre accanto al male, ma da una socialità prodotta dalla grazia, che “instaura rapporti intersoggettivi e strutturali diversi, propri alla costituzione della Chiesa e conoscibili solo attraverso la fede”[86].

Il risultato è stato che l’autorità ecclesiastica, e ai livelli supremi, di fronte alla diffusione del male all’interno della comunità ecclesiale, all’omertà e talora alla connivenza anche di alcuni Vescovi, si è trovata costretta a ricorrere sempre più all’aiuto delle autorità civili e del diritto secolare – come anche quello vaticano – per debellare e contrastare un fenomeno che mina alle radici la sua credibilità e la sua stessa missione evangelizzatrice nel mondo. Alcune Conferenze episcopali, fortemente sollecitate dalla Santa Sede [87], sono infine giunte a prevedere a carico dei Vescovi l’obbligo di denuncia alle autorità civili dei membri del clero sospettati di simili delitti. Con buona pace di ogni residua pretesa di completezza e di specificità dell’ordinamento canonico, dovuta al suo radicamento nella comunione ecclesiale.

A ciò si è aggiunta, per iniziativa diretta del Pontefice, la recente Istruzione che ha escluso il segreto pontificio per le denunce, i processi e le decisioni riguardanti tali delitti [88]. Ciò che potrà creare verosimilmente qualche difficoltà ai singoli Vescovi e autorità religiose locali, anche in ordine alla tutela del segreto d’ufficio, in caso di pressanti richieste di atti da parte delle autorità giudiziarie civili.

Non c’è dubbio che in alcuni casi, come già ricordato, l’intervento delle autorità civili sia stato animato anche da venature giurisdizionalistiche, miranti ad esercitare un controllo pervasivo sull’organizzazione interna della

Chiesa cattolica [89], ma occorre anche riconoscere che, in termini generali, questo intervento ha supplito ad una oggettiva difficoltà del sistema canonico di contrastare efficacemente il grave fenomeno [90].

3.2 Sull’altra delicata questione della gestione economica degli enti e delle istituzioni ecclesiastiche, appare emblematico quanto avvenuto a livello di organizzazione centrale della Chiesa, con l’affidamento – previsto da Papa Benedetto XVI ma poi ampliato da Papa Francesco – agli organi di giustizia dello Stato vaticano, un ordinamento secolare, della giurisdizione sui gravi reati in materia finanziaria, e non solo, imputati a funzionari e prelati della Curia Romana e di altri organismi della Santa Sede [91]. Con un’evidente e implicito riconoscimento dell’impotenza degli strumenti offerti dal diritto canonico in materia.

Tuttavia il problema è assai più ampio, interessa tutta la Chiesa a livello universale e riguarda più in generale la gestione economica dei beni ecclesiastici, soggetti alle disposizioni del Libro V° del Codice e al sistema ivi previsto dei controlli canonici, cui sono soggette in modo rigido ed uniforme tutte le persone giuridiche canoniche pubbliche. Un sistema, risalente nella sostanza al Codex del 1917 e prima ancora allo ius vetus [92], che appare ormai inadeguato di fronte ai problemi di gestione di organizzazioni sempre più complesse come ospedali, case di cura, scuole e Università e altre opere caritative che gli enti ecclesiastici – sempre più anche nel nostro paese, come da sempre nel mondo anglosassone – oggi possono liberamente istituire e amministrare osservando la legislazione civile e commerciale [93].

In Italia, a seguito dell’intervenuta abrogazione dell’istituto civilistico dell’autorizzazione agli acquisti (1997) [94], gli enti ecclesiastici possono oggi liberamente acquistare e, quindi, amministrare ingenti patrimoni con cui sostenere opere benemerite ma impegnative sotto il profilo della gestione e con crescenti rischi di abusi. Ora, appare curioso che, di fronte a recenti fenomeni di insolvenza di alcune grandi aziende ospedaliere gestite da un ente religioso, con sede proprio a Roma, la stessa Santa Sede, cui spettano i poteri di vigilanza canonica su tali soggetti, sia stata indotta a chiedere all’autorità giudiziaria civile l’applicazione delle procedure concorsuali, smentendo platealmente una giurisprudenza civile consolidata che, sulla base della normativa concordataria, riteneva tali istituti non applicabili agli enti ecclesiastici al fine di preservarne l’originaria struttura e l’amministrazione interne, soggette ai poteri all’autorità ecclesiastica [95].

3.3 Di fronte a simili sfide, che riguardano i suoi stessi interna corporis, alla Chiesa si presentano due strade, di fatto alternative: affidarsi sempre più al diritto secolare e ai suoi istituti, secondo l’approccio storicamente seguito dalle Chiese protestanti e da quella anglicana, con una crescente soggezione alle sue regole e alla giurisdizione civile e il rischio di una crescente secolarizzazione o mondanizzazione dell’esperienza ecclesiale; ovvero, pur senza chiudersi ad una necessaria collaborazione con le autorità civili, impegnarsi in un’opera di riforma o aggiornamento del suo diritto, quello canonico, per renderlo più rispondente alle esigenze della sua missione ma anche più aderente alle istanze di giustizia presenti all’interno della comunità ecclesiale, prendendo atto della realtà del diritto e della sua essenziale funzione di tutela dei diritti, ovvero delle situazioni giuridiche soggettive, nell’ambito di ogni comunità umana. Del resto i diritti fondamentali dell’uomo, in quanto espressione della natura umana creata da Dio, e la loro tutela sono da sempre parte integrante del diritto divino naturale, e quindi del diritto canonico.
Questa seconda strada appare più complessa ma anche più conforme, oltre che alla sua storia millenaria, anche alla complessa natura della Chiesa cattolica, nella quale “la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino” [96].
Da cui il ruolo insostituibile del diritto canonico, strumento posto al servizio della missione della Chiesa e, al tempo stesso, fondamento irrinunciabile della sua autonomia e indipendenza rispetto allo Stato, che costituisce la base di quel “dualismo istituzionale”, proprio del cristianesimo, da cui si è sviluppata in Occidente la laicizzazione della politica e, con essa, la democrazia costituzionale e la dottrina dei diritti di libertà [97].


48) Sul rapporto tra secolarizzazione e diritto canonico, da ultimo cfr. C. CARDIA, L’esercizio del governo ecclesiastico in un contesto secolarizzato, in AA.VV., Diritto canonico e culture giuridiche nel centenario del Codex Iuris Canonici del 1917. Atti del XVI Congresso Internazionale della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo, Roma 4-7 ottobre 2017, a cura di Jesús Miñambres, EDUSC, Roma 2019, p. 431 ss.

49( Il che non esclude che anch’essi siano forniti di un (più ridotto) margine di interpretazione che ne hanno consentito un graduale adattamento alle differenti circostanze storiche e culturali. Per alcuni riferimenti soprattutto all’esperienza del diritto islamico, cfr. M. PAPA – L. ASCANIO, Shari’a, Il Mulino, Bologna 2014; S. FERRARI, Lo spirito dei diritti religiosi. Ebraismo, cristianesimo e islam a confronto, Il Mulino, Bologna 2002; M. COOK, Il Corano, Einaudi, Torino 2001, p. 45 ss.

50) Con riferimento alla secolarizzazione come fenomeno intrinseco al cristianesimo e che ha plasmato l’Occidente cristiano, ponendo le basi per la formazione dello Stato moderno, cfr. E.-W. BÖCKENFÖRDE, La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione (1967), a cura di M. Nicoletti, Morcelliana, Brescia 2006. Ma si veda anche, per la genealogia del concetto sul piano storico-culturale e filosofico, H. LÜBBE, La secolarizzazione. Storia e analisi di un concetto (1965), Il Mulino, Bologna 1970.

51 )Cfr. Papa FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, Roma, 24 novembre 2013, nn. 93-94: “La mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa, consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale. (…) Questa mondanità può alimentarsi specialmente in due modi profondamente connessi tra loro. Uno è il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico”.

degenerazione in teoria ideologica del fenomeno, in sé neutro, della secolarizzazione, cfr. G. DALLA TORRE, Libertà religiosa e secolarismo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 10 del 2018, p. 2: “Il secolarismo contrappone religione, che sarebbe favola, mito, superstizione, e ragione, che troverebbe in particolare nella scienza sperimentale la sua esplicazione e il suo trionfo; dogma, cioè formulazione indiscutibile e immodificabile, e verità scientifiche, discutibili e provvisorie; tradizionalismo, connotato da fissità, e modernità, aperta al mutamento e all’innovazione. Il secolarismo è relativista, negando l’esistenza o quantomeno la conoscibilità della verità; è rifiuto di ogni trascendenza, che sovente si traduce in aperto contrasto e lotta dichiarata alla religione”.

53) Per approfondimenti, cfr. R. REMOND, La secolarizzazione. Religione e società nell’Europa contemporanea, Laterza & Figli, Roma- Bari 1998, p. 175 ss.

54)Per una sintesi del rapporto complesso tra secolarizzazione e modernità, di recente cfr. I. COLOZZI, Religione e modernità. Analisi di un rapporto complicato, Morcelliana, Brescia 2016, spec. p. 95 ss.

55) In argomento, cfr. J. CASANOVA, Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla riconquista della sfera pubblica, Il Mulino, Bologna 2000.

56) Cfr. P. BERGER – G. DAVIE – E. FOKAS, America religiosa, Europa laica? Perché il secolarismo europeo è un’eccezione, Il Mulino, Bologna 2010.

57) Cfr. C. TAYLOR, L’età secolare, edizione italiana a cura di Paolo Costa, Feltrinelli, Milano 2009.

58) C. TAYLOR, L’età secolare, cit., p. 14: “il mutamento che vorrei definire ed esplorare è quello che ci ha condotti da una società in cui era virtualmente impossibile non credere in Dio, a una in cui la fede, anche per il credente più devoto, è solo una possibilità umana tra le altre. Posso magari ritenere inconcepibile l’idea di abbandonare la mia fede, ma esistono altre persone, ivi comprese alcune che mi sono particolarmente care, e il cui stile di vita non posso in tutta onestà respingere semplicemente come depravato, cieco o indegno, che non ne hanno (o quantomeno non hanno fede in Dio o nel trascendente). La credenza in Dio non è più assiomatica. Esistono alternative. E questo può anche significare che almeno in certi ambienti potrà essere difficile conservare la propria fede”. .

59) Per Taylor “in questa accezione la secolarizzazione è un processo che riguarda l’intero contesto di comprensione entro cui avvengono la nostra esperienza e ricerca morale, spirituale o religiosa. Per ‘contesto di comprensione’ intendo qui sia quei temi che probabilmente saranno stati formulati esplicitamente da quasi tutti, come la pluralità di opzioni, e alcuni che formano invece lo sfondo implicito, in larga misura non tematizzato, di questa esperienza e ricerca: la sua ‘pre-ontologia’, per usare un termine heideggeriano” (ibidem).

60) Sul complesso rapporto tra fenomeno pluralista ed esperienza religiosa, a livello sia individuale che istituzionale, cfr. P. L. BERGER, I molti altari della modernità. Le religioni al tempo del pluralismo, EMI, Bologna 2017.

61) Su questo punto l’attuale Pontefice insiste molto, fin dall’inizio del suo ministero petrino, cfr. Papa FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, cit., n. 102: “I laici sono semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio. Al loro servizio c’è una minoranza: i ministri ordinati. È cresciuta la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa. Disponiamo di un numeroso laicato, benché non sufficiente, con un radicato senso comunitario e una grande fedeltà all’impegno della carità, della catechesi, della celebrazione della fede. Ma la presa di coscienza di questa responsabilità laicale che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione non si manifesta nello stesso modo da tutte le parti. In alcuni casi perché non si sono formati per assumere responsabilità importanti, in altri casi per non aver trovato spazio nelle loro Chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni. (…)”.

62) Cfr. Papa FRANCESCO, Esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia sull’amore nella famiglia, Roma, 19 marzo 2016, n. 304 ss. e spec. n. 305, nt 351, ove si precisa, richiamando un passaggio dell’Evangelii gaudium (n. 47), che “l’Eucarestia ‘non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli’”.

63) Cfr. Papa FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, cit., n. 47: “La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte. Così che, se qualcuno vuole seguire una mozione dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si incontrerà con la freddezza di una porta chiusa. Ma ci sono altre porte che neppure si devono chiudere. Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo. L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. [51] Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”.

64) Cfr. C. FANTAPPIE’, Per un cambio di paradigma. Diritto canonico, teologia e riforme nella Chiesa, EDB, Bologna 2019, p. 176, che richiama opportunamente il mutamento profondo intervenuto dalla metà del Novecento nella concezione dell’interpretazione generato dalla “svolta linguistica”, dalla penetrazione dell’ermeneutica nelle scienze umane e dalle teorie comunicative. “Il paradosso storico – precisa Fantappié – è che, mentre il magistero della Chiesa, dalla fine dell’Ottocento in avanti, si è aperto ad una seria e impegnativa riflessione sull’interpretazione dei testi biblici e teologico-dogmatici, nel campo del diritto canonico questa assunzione di consapevolezza è rimasta lettera morta. Lo stridore si accentua ove si pensi che la scienza canonistica aveva per prima elaborato, insieme con la civilistica medievale, la teoria dell’interpretatio in senso creativo: ma oggi si trova ancora confinata nella lettera del codice” (p. 175).

65) Per una stimolante riflessione sulle sfide attuali del diritto canonico nel contesto della globalizzazione, cfr. C. FANTAPPIE’, Il diritto canonico: una creazione giuridica superata?, in Quad. dir. pol. eccl., 2017/1, p. 231 ss.

66) G. DALLA TORRE, Il diritto canonico nell’età secolare, testo dattiloscritto, p. 8.

67) In argomento, cfr. C. FANTAPPIE’, Per un cambio di paradigma, cit., p. 45 ss.

68) Papa FRANCESCO, Messaggio in occasione del XVI Congresso internazionale della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici promovendo, in AA.VV., Diritto canonico e culture giuridiche nel centenario del Codex Iuris Canonici del 1917, cit., p. 31.

69) Particolarmente significativa al riguardo appare la valutazione complessiva degli esiti della codificazione del 1917 compiuta dall’attuale Pontefice: “Guardando al secolo che ci separa da quell’atto di promulgazione, non si può negare che il Codice pio- benedettino abbia reso un grande servizio alla Chiesa, nonostante i limiti di ogni opera umana e le distorsioni che, nella teoria e nella pratica, le disposizioni codiciali possono aver conosciuto, ivi compresa qualche tentazione positivistica” (Papa FRANCESCO, Messaggio in occasione del XVI Congresso internazionale della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici promovendo, cit., pp. 31-32).

70) cfr. C. FANTAPPIE’, Per un cambio di paradigma, cit., p. 45.

71) In argomento per tutti, cfr. G. LO CASTRO, La qualificazione giuridica delle deliberazioni conciliari nelle fonti del diritto canonico, Giuffré, Milano 1970.

72) Per una nuova impostazione nello studio delle scienze sacre, tra cui il diritto canonico, più aperta al “dialogo a tutto campo” e al confronto con le scienze umane e basata sulla inter- e transdisciplinarietà della ricerca scientifica, cfr. Papa FRANCESCO, Costituzione apostolica Veritatis gaudium circa le università e le facoltà ecclesiastiche, Roma, 8 dicembre 2017, ove si afferma che “per adempiere alla missione salvifica della Chiesa «non è sufficiente la preoccupazione dell’evangelizzatore di giungere ad ogni persona […] il Vangelo si annuncia anche alle culture nel loro insieme». Gli studi ecclesiastici non possono limitarsi a trasferire conoscenze, competenze, esperienze, agli uomini e alle donne del nostro tempo, desiderosi di crescere nella loro consapevolezza cristiana, ma devono acquisire l’urgente compito di elaborare strumenti intellettuali in grado di proporsi come paradigmi d’azione e di pensiero, utili all’annuncio in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-religioso. Ciò richiede non solo una profonda consapevolezza teologica, ma la capacità di concepire, disegnare e realizzare, sistemi di rappresentazione della religione cristiana capace di entrare in profondità in sistemi culturali diversi. Tutto questo invoca un innalzamento della qualità della ricerca scientifica e un avanzamento progressivo del livello degli studi teologici e delle scienze collegate” (n. 5).

73) In argomento di recente cfr. l’interessante monografia di S. MÜCKL, “De Ecclesia et hominum consortione”. La terza parte del progetto di una “Lex Ecclesiae fundamentalis” nella canonistica tedesca, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano 2019, che riprende e approfondisce con lucidità il tema, fornendo un valido contributo al suo studio.

74) Sui diritti fondamentali dei fedeli nella Chiesa, per un primo approccio cfr. G. FELICIANI, Il popolo di Dio, Il Mulino, Bologna 1991, 19 ss.

75) GIOVANNI PAOLO II, Costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges, Roma, 25 gennaio 1983, in www.vatican.va.

76) Sui principali orientamenti e le scuole della canonistica contemporanea, che hanno ispirato un differente approccio alla dimensione giuridica della Chiesa, cfr. G. BONI, Le scuole del diritto canonico, in G. DALLA TORRE – G. BONI, Conoscere il diritto canonico, Studium, Roma 2006, pp. 110 ss.

77) Come noto, alla base della teologia del diritto canonico, di cui principali esponenti furono Eugenio Corecco e Antonio Rouco Varela (cfr. A. ROUCO VARELA – E. CORECCO, Sacramento e diritto: antinomia nella Chiesa? Riflessioni per una teologia del diritto canonico, Jaca Book, Milano 1971), vi è la convinzione che “il diritto canonico, a differenza di quello secolare, non è generato dal <<dinamismo spontaneo (biologico) della convivenza umana>>, ma da quello specifico inerente alla natura stessa della comunione ecclesiale, la cui socialità è prodotta geneticamente non dalla natura umana, ma dalla grazia che instaura rapporti intersoggettivi e strutturali diversi, propri alla costituzione della Chiesa e conoscibili solo attraverso la fede”, da cui l’idea che la legge canonica è da intendersi non come ordinatio rationis ma come ordinatio fidei (cfr. E. CORECCO, “Ordinatio Rationis” o “Ordinatio Fidei”? Appunti sulla definizione della legge canonica, in Communio, 1977, n. 36, spec. p. 51 ss.).

78) In argomento, cfr. I. ZUANAZZI, Praesis ut prosis. La funzione amministrativa nella diakonia della Chiesa, Jovene, Napoli 2005, p. 366 ss., che esamina e approfondisce con grande lucidità anche la riforma introdotta da Paolo VI (cost. ap. Regimini ecclesiae universae di riforma della Curia Romana, Roma, 15 agosto 1967) con l’istituzione della Sectio altera della Segnatura apostolica, riforma rivelatasi lacunosa e insufficiente, anche per il suo carattere centralistico e di mera legittimità, ad assicurare un effettivo sistema di giustizia amministrativa nella Chiesa.

79) Cfr. L. GEROSA, Carisma e diritto nella Chiesa. Riflessioni canonistiche sul “carisma originario” dei nuovi movimenti ecclesiali, Jaca Book, Milano 1989, p. 107 ss.

80) Per approfondimenti, cfr. C. FANTAPPIE’, Ecclesiologia e Canonistica, Marcianum Press, Venezia 2016, pp. 167 ss.

81) Appare significativo, a tale riguardo, come lo stesso Trattato sull’Unione Europea, nella versione consolidata dopo il Trattato di Lisbona, in particolare nel suo Preambolo riconosca l’origine anche religiosa dei diritti fondamentali, sottolineando, accanto a quelle culturali e umanistiche, anche le “eredità religiose dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona (…)”.

82) Sulla deriva individualista dei “nuovi diritti”, fondati sul paradigma dell’autodeterminazione assoluta dell’uomo e dei suoi desideri, espressione di un “sovranismo ideologico” e di un’antropologia di Stato che determinano “il naufragio per le culture solidariste della modernità, quando ripropongono a livello etico i sentieri del mercatismo estremo, non privo di tratti malthusiani”, cfr. C. CARDIA, L’esercizio del governo ecclesiastico in un contesto secolarizzato, cit., p. 443 ss.

83) In argomento, cfr. P. SEQUERI, Le sfide dell’etica. Diritti umani e coscienza credente, in A. Riccardi (a cura di), Il cristianesimo al tempo di papa Francesco, Laterza, Bari-Roma 2018, 262 ss.

84) Sull’importante ruolo svolto dalla legislazione concordataria nell’evoluzione recente del diritto canonico, cfr. G. DALLA TORRE, La Chiesa e gli Stati. Percorsi giuridici del Novecento, Studium, Roma 2017.

85) Secondo la nota teoria di E.-W. BÖCKENFÖRDE, La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione (1967), cit., p. 63 ss. oggi sostanzialmente condivisa anche da un filosofo laico come Jürgen Habermas, cfr. J. HABERMAS – J. RATZINGER, Ragione e fede in dialogo, a cra di G. Bosetti, Marsilio, Venezia 2005, p. 41 ss.

86) E. CORECCO, “Ordinatio Rationis” o “Ordinatio Fidei”? Appunti sulla definizione della legge canonica, cit., p. 51. In termini analoghi cfr. L. GEROSA, Carisma e diritto nella Chiesa. Riflessioni canonistiche sul “carisma originario” dei nuovi movimenti ecclesiali, cit., p. 107: “Nella comunità ecclesiale i rapporti strutturali e giuridici esistenti fra tutti i fedeli (siano essi laici, chierici o religiosi), non seguono la logica di potere propria delle moderne costituzioni statuali. Tali rapporti giuridici sono tutti radicati nella dinamica della grazia, sacramentale o carismatica, le cui valenze istituzionali e costituzionali non possono essere misurate usando acriticamente le categorie giuridiche elaborate in sede di teoria generale del diritto statuale”.

87) Cfr. Papa FRANCESCO, Lettera apostolica in forma di motu proprio “Vos estis lux mundi”, Roma, 7 maggio 2019, http:// www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio-20190507_vos-estis-lux-mundi.html; ID., Lettera al popolo di Dio, 20 agosto 2018; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera circolare per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici, Roma, 3 maggio 2011, in www.vatican.va. Per approfondimenti, cfr. G. BONI, Sigillo sacramentale e segreto ministeriale. La tutela tra diritto canonico e diritto secolare, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 34 del 2019, p. 47 ss.

88) Cfr. Rescriptum ex audientia SS. MI: Rescritto del Santo Padre Francesco con cui si promulga l’Istruzione Sulla riservatezza delle cause, Vaticano, 6 dicembre 2019, che recita: “1. Non sono coperti dal segreto pontificio le denunce, i processi e le decisioni riguardanti i delitti di cui: a) all’art. 1 del Motu proprio “Vos estis lux mundi”, del 7 maggio 2019; b) all’art. 6 delle Normae de gravioribus delictis riservati al giudizio della Congregazione per la Dottrina della fede, di cui al Motu proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela”, di San Giovanni Paolo II, del 30 aprile 2001, e successive modifiche. – 2. L’esclusione del segreto pontificio sussiste anche quando tali delitti siano stati commessi in concorso con altri delitti. – 3. Nelle cause di cui al punto 1, le informazioni sono trattate in modo da garantirne la sicurezza, l’integrità e la riservatezza ai sensi dei canoni 471, 2° CIC e 244 § 2, 2° CCEO, al fine di tutelare la buona fama, l’immagine e la sfera privata di tutte le persone coinvolte. – 4. Il segreto d’ufficio non osta all’adempimento degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, compresi gli eventuali obblighi di segnalazione, nonché all’esecuzione delle richieste esecutive delle autorità giudiziarie civili. – 5. A chi effettua la segnalazione, alla persona che afferma di essere stata offesa e ai testimoni non può essere imposto alcun vincolo di silenzio riguardo ai fatti di causa” (https://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/2019/documents/rc-seg- st-20191206_rescriptum_it.html)

89) Cfr. M. CARNI’, Segreto confessionale e derive giurisdizionaliste nel rapporto della Royal Commission australiana, in Diritto e Religioni, n. 1-2019, p. 46 ss.

90) Una spia evidente di questa difficoltà è stato il diretto intervento del Pontefice, che con un proprio atto normativo ha previsto la rimozione dal loro incarico per Vescovi diocesani, Eparchi e Superiori maggiori di istituti religiosi in caso di grave negligenza nell’esercizio del loro ufficio pastorale che abbia prodotto un danno grave ad altri, soprattutto nei casi di “abusi su minori o su adulti vulnerabili” (Papa FRANCESCO, Lettera apostolica in forma di motu proprio “Come una madre amorevole”, Roma, 4 giugno 2016, http://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco_lettera-ap_20160604_come-una-madre- amorevole.html).

91) Per approfondimenti, cfr. G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto vaticano, Giappichelli, Torino 2018, p. 118 ss.
92) In argomento, cfr. J. MIÑAMBRES, La nozione di “bene ecclesiastico” nella prima codificazione canonica, in Ius Ecclesiae, XIX,

2007, pp. 77 ss.

93) Sul punto rinvio a P. CAVANA, Enti ecclesiastici e settore non profit a confronto con il principio della trasparenza, in A. Aste (a cura di), La trasparenza nella gestione dei beni ecclesiastici: dalla governance alla accountability. La sfida della rendicontazione tra pastoralità e contabilità, Marcianum Press, Venezia 2019, p. 140 ss.

94) Art. 13, legge 15 maggio 1997, n. 127 – Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.

95) Cfr. Trib. Roma, sez. fallim., sent. 30 maggio 2013, n. 432, in https://www.unijuris.it.

96) CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, Roma, 21 novembre 1964, n. 8.

97) In argomento cfr. P. PRODI, Laicità, in ID., Lessico per un’Italia civile, a cura di P. Venturelli, Diabasis, Reggio Emilia 2008, pp. 178-187. In termini più ampi, cfr. ID., Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Il Mulino, Bologna 2000.