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In ricordo del Prof. Lorenzo Acquarone

Renato Balduzzi

Ciascuno di noi ha una “cifra” sintetica che lo può definire, sancendo la sua unicità e irripetibilità. Può capitare che, in forza della molteplicità delle funzioni e dei ruoli svolti, tale cifra non sia facilmente percepibile e vada scoperta con pazienza. E può capitare che l’amicizia possa fare velo alla compiuta comprensione della complessità di una persona, specialmente se essa appartiene a un’altra generazione. Ripenso a queste cose mentre mi chiedo quale sia stata la “cifra” del prof. Lorenzo Acquarone, deceduto per SARS-CoV-2 nella sua abitazione genovese lo scorso 24 marzo.

Proviamo a scorrerne, per sommi capi, l’esperienza di vita. Egli fu professore, anzitutto. Certo, Acquarone è stato, sino all’ultimo, avvocato e, per molti anni, anche politico e parlamentare. Ma egli era prima e più di tutto un professore di diritto amministrativo, che aveva nel sangue, come ogni professore degno di questo nome, la preoccupazione di convincere l’interlocutore prima ancora che di vincere (e vincere le cause non è che non gli piacesse …). Vi sono avvocati-professori per i quali la professione universitaria è in fondo un complemento, qualche cosa che rileva soprattutto nella carta intestata. Non così per lui. E il fascino che ha emanato per generazioni di studenti e allievi nasceva dalla percezione di questa priorità, di questo innamoramento. Per lui professare un insegnamento universitario significava portare lo studente a cogliere realisticamente il nucleo di un istituto, di un principio, di una procedura.

La sua produzione scientifica, intensa soprattutto negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, ha accomunato dunque, quasi naturalmente, l’attenzione ai principi generali e quella alla loro declinazione operativa, in un intreccio che costituisce una sorta di costante in tutto l’arco della sua attività di ricerca.

Così, lo studio delle autorizzazioni amministrative e del segreto d’ufficio si è affiancato ai profili pubblicistici delle imprese portuali, all’organizzazione periferica del turismo, alle misure di salvaguardia in campo urbanistico, all’esecuzione di opere pubbliche da parte degli enti locali, alle cosiddette funzioni delegate dei comuni. Dal suo Maestro Roberto Lucifredi aveva tratto il gusto per la concretezza, dentro un solido impianto dommatico, di tipo tradizionale-zanobiniano (senza dimenticare mai l’apporto di una parte della giuspubblicistica francese, alla quale fu sempre legato, con André de Laubadère in testa).

Da autentico principe del foro, amava stupire e, talvolta, portare il ragionamento alle estreme conseguenze. Ma non prediligeva il bluff, la vanteria fine a sé stessa, anche se in tante occasioni avrebbe potuto giovarsene: la sua forza stava nella logica dell’argomentazione e nel realismo con cui guardava all’amministrazione e agli uomini e alle donne che la incarnavano. La politica la affrontò da notabile, si sarebbe detto un tempo. Ma da notabile coinvolto, colto, preparato, con un disincanto non distaccato. Fu, tra i presidenti d’Aula, uno dei più amati: certo, anche perché conosceva i regolamenti e si sapeva districare, ma soprattutto perché era affidabile, a prescindere dalla casacca del partito, dal ruolo di maggioranza o da quello di opposizione, e perché sapeva cogliere al volo il nocciolo di un problema politico o normativo.

Ecco, egli sapeva intuire il nucleo essenziale di una persona, di una questione interpretativa, di una scelta politico-amministrativa: qui sta forse la sua “cifra”, la sua peculiarità.
So che gli devo molto. Non me ne volle, o almeno non troppo, perché, pur avendolo avuto come relatore di tesi, scelsi il diritto costituzionale invece che quello amministrativo. Nella mia esperienza istituzionale (governo, parlamento, Csm), non mancò mai di incoraggiarmi e di sostenermi, anche senza che lo sapessi. Aveva preparato nei dettagli, al solito, anche le proprie esequie, il commiato dalla vita terrena. Il mistero della vita gioca scherzi e sorprende, anche chi gli scherzi li ha sempre amati, e quei dettagli non hanno potuto in questo periodo essere eseguiti. Ma gli amici, gli allievi, i colleghi non dimenticheranno il professor Acquarone e la sua famiglia.

Alla signora Elsa, a Roberta e a Giovanni va il nostro pensiero affettuoso. Lorenz(in)o è morto in piedi, come in piedi e con dignità è sempre vissuto. E se ne è andato da cristiano, come da cristiano è vissuto.