Tramonto della legalità e nuovi valori costituzionali Come fronteggiare le nuove tensioni ordinamentali
Carmelo Rinaudo
Sommario: 1. Il principio di legalità nel suo significato originario – 2. Come garanzia e fonte di legittimazione della legge – 3. La meccanizzazione ed accelerazione dello strumento legislativo – 4. Trasformazione dell’ordinamento giuridico e del sistema di rappresentanza politica – 5. Lo Stato “osmotico” – 6. Verso il superamento del sistema rappresentativo parlamentare? – 7. La “governance” mercantile – 8. I nuovi poteri forti – 9. I diritti umani ed i nuovi valori – 10. Il ruolo dei giuristi cattolici per uno sviluppo “umanamente sostenibile” della società nell’era della secolarizzazione – 11. “Né resistere alla modernità, né assecondarla” ma partecipare alla costruzione del diritto e della legalità – 12. Conclusioni.
1. Il tema posto a base dell’incontro indetto dall’Unione Nazionale dei Giuristi Cattolici in occasione dell’Assemblea dei Soci, pone significativamente in evidenza il problema di fondo che i giuristi, quelli cattolici in particolare, sono chiamati ad affrontare al fine di individuare e saper indicare le linee guida per una nuova “governance”, capace di regolare la dinamica e gli epocali mutamenti della società globale post-moderna.
In tale prospettiva sembra utile richiamare l’attenzione su un aspetto critico della trasformazione normativa ed organizzativa in atto, che ritengo debba essere individuata nella involuzione del principio di legalità; proprio di quel criterio fondante che per secoli è stato ritenuto il cardine dell’ordine sociale e di quello che abbiamo conosciuto come “Stato di diritto”.
Ma, prima di dar conto della cennata involuzione, bisogna bene intendersi sul significato che si vuole dare a tale concetto!
Affermatosi per la prima volta con la rivoluzione francese, esso traeva origine dalla fede illuministica nella “ragione” e dall’idea che la legge, sua massima espressione, rispecchiasse lo stesso ordine naturale e tutte le esigenze della società e che, perciò, fosse in possesso di una sorta di legittimità innata.
Da qui la convinzione che la legge potesse essere interpretata soltanto “per suis ipsissimis verbis” senza alcuna apertura agli usi, ai costumi, alle tradizioni, alla consuetudine, al diritto naturale e tanto meno all’interpretazione praeter legem, creativa ovvero evolutiva dei Tribunali.
Non è, in proposito, privo di significato il fatto che lo stesso giurista Portalis (principale artefice del Codice Napoleone) non aveva escluso in un primo momento che alcune materie potessero essere “abbandonate all’impero della consuetudine, alla discussione degli uomini dotti, alla discrezionalità dei giudici”, fino a ritenere che in caso di silenzio della legge si sarebbe dovuta applicare l’equità con “ritorno alla legge naturale”[1] !!
Quel che prevalse fu, invece, il “principio di completezza” del testo codificato.
In proposito è significativo il giudizio che, secondo il ricordo di C. Schmitt, sarebbe stato espresso da un professore di diritto, tale Brugnet, il quale gli avrebbe detto che per lui “non ci sarebbe un diritto pubblico ma solo un codice di diritto pubblico”[2]
Come è pure altrettanto indicativa l’asserzione attribuita all’allora procuratore della repubblica, tale Von Kirchiman, che, in una conferenza tenuta a Berlino nel 1847, ebbe a dire che bastano “tre parole di rettifica del legislatore ed intere biblioteche diventano carte da macero”, oppure che “la legge positiva rende il giurista un verme del legno macero”[3]
Fino a giungere alla famosa frase che sarebbe stata pronunciata dal giurista Windscheid nel discorso tenuto presso l’Università di Greifswalder nel 1854 dove fu asserito che “Il sogno del diritto naturale è finito”[4]
2. Persa, però, nel tempo la sua connotazione giacobina ed illuministica, il principio di legalità è venuto assumendo un significato universale che, sostanzialmente, finisce con il vincolare lo stesso legislatore e con il legittimarlo nella misura in cui la legge che da esso promana risulta capace di assicurare in modo fattuale la razionalità dell’intero sistema giuridico ornamentale in conformità ai canoni di giustizia ed equità, di proporzionalità, di affidabilità, di eguaglianza, di intelligibilità testuale, di effettività, nonché di simbiosi, armonia e coerenza con lo stesso diritto vivente: costituito dall’insieme dei rapporti e delle situazioni in un dato momento definiti e concretizzati sulla base della medesima legge, secondo un modo ed un verso circolare conchiuso.
In tal senso, il principio di legalità, lungi dal rivendicare una “giustizia” insita nella stessa legge, si sostanza imponendo al legislatore la ricerca continua della sua legittimazione in qualità di garante del sistema complessivo!!
Pur non essendo specificatamente codificato in tutta la sua ampiezza, il principio in parola è pacificamente ritenuto un fondamentale canone interpretativo e costitutivo dell’ordinamento giuridico anche alla luce del riconoscimento da parte della Corte Costituzionale.
Al riguardo, la stessa CEDU di Strasburgo ha avuto modo di occuparsi più volte dell’argomento individuando taluni canoni valutativi della legittimità della legge.
Fra l’altro, si è espressa in merito alla legalità della procedura asserendo che tale requisito è soddisfatto dalla sufficiente accessibilità, precisione e prevedibilità della norma (caso Hentrich), nonché da un elevato standard di qualità della legge che consenta di offrire al cittadino sufficiente chiarezza sulle circostanze e le condizioni in cui un suo diritto potrebbe essere sacrificato (caso Halfor).
Tale standard si sostanzia, come prevede l’art.1 della convenzione europea, nell’assicurare l’effettività della tutela (caso Rotaru).Importante è sottolineare, in proposito, come le decisioni della CEDU in merito, attraverso il trattato di Copenaghen, siano divenuti requisiti per l’accesso all’Unione e che il Trattato di Lisbona le includa fra i valori fondanti dell’Unione.
3. Ciò detto, occorre chiedersi se un tale modo di intendere il principio di legalità sia ancora sostenibile nel contesto dell’evoluzione normativa ed ordinamentale in atto!
In verità, tale concetto oggi è divenuto una vuota formula di stile che serve a nascondere una nuova realtà del diritto ed a giustificare, così, astrattamente ed apoditticamente (facendolo apparire come di per sé giusto), l’abnorme incondizionato e disorganico continuo ricorso allo strumento legislativo, utilizzato indiscriminatamente per regolare e disciplinare in modo provvisorio e contingente ogni aspetto del vivere civile e della collettività.
Quel che va rimarcato è che stiamo assistendo ad un in-naturale processo di accelerazione e meccanizzazione dell’attività legislativa mediante la quale si cerca di assecondare in ogni modo le trasformazioni della società: rincorrendole in modo occasionale e spesso incoerente e finendo, perciò, con lo snaturare quella che dovrebbe essere la funzione primaria della legge.
La quale, in via di principio, siccome massima espressione del potere statuale, dovrebbe limitarsi a tracciare le linee guida e a definire i limiti inderogabili per lo sviluppo sistematico e puntuale del diritto concreto sulla base di una chiara visione d’insieme delle problematiche e degli interessi che promanano dalla comunità e che dovrebbero essere veicolate fino ad essa solo dall’esercizio di una retta azione politica.
Solo così può essere garantita, dal punto di vista sostanziale, l’effettività e l’esistenza stessa del “diritto” e, sotto il profilo ordinamentale, quella dello “Stato di diritto”!!
Purtroppo, si deve constatare che il “gigantismo” della produzione legislativa (tradotto in interventi analitici, sostanzialmente amministrativi, transitori, a volte anche contraddittori, di non agevole lettura, spesso scarsamente decifrabili, particolari ovvero eccezionali e correttivi), hanno determinato un “oscuramento” ed “irrigidimento” del sistema complessivo, oltre che la perdita di affidabilità, di consenso e di certezza.
Quel che ne deriva è un desolante quadro di precarietà entro il quale il diritto tende a divenire in qualche modo liquido come la società preconizzata da Bauman: tanto da far recentemente affermare ad un noto magistrato (Carlo Nordio)[5] che “oggi, purtroppo il diritto è volantile, siamo in un’epoca in cui i giuristi possono dir tutto ed il contrario di tutto” e ad un apprezzato sociologo (F.Alberoni) “oggi puoi proibire i vaccini, poi ammetterli, poi proibirli di nuovo; prima chiudi i negozi la domenica, poi li apri” e così di seguito![6]
In tale contesto è cosa assai ardua poter ancora ipotizzare la vigenza della forza unificante e dell’ “ordo oridinans” insita nell’invocato e pur negletto principio di legalità!!
In proposito è illuminante la constatazione di G. Tremonti circa l’apparizione sulla scena della “figura del legislatore fenomenico intento a inseguire e fotografare ex post la dinamica dei processi di trasformazione della realtà, da questi essendo peraltro costantemente spiazzato. Spiazzamento che, a sua volta, causa ulteriore successiva legislazione, in un processo che si alimenta di continuo”.[7]
Forse si va, così, avverando l’ipotesi evocata a suo tempo da C. Schmitt, secondo il quale una legalità fine a se stessa, condizionata dall’interesse della economia, della finanza e della tecnica, siccome priva di un principio unificante di congenita coerenza tratto dalla scienza giuridica e da una fonte valoriale, finisce con “uccidere” lo stesso diritto (“la legalité qui lue”)[8]e con esso lo Stato di diritto: destinato, perciò, a divenire Stato di polizia. Sì da poter far dire ai detentori del potere tecnico-economico e della finanza globale “silete, jureconsulti, a munere alieno” (parafrasando l’analoga opposta ingiunzione che il giurista Alberico Gentile, nel tardo medioevo, aveva rivolto ai teologi perché non si ingerissero più nel campo del diritto)!
4. In tale prospettiva sembra allora potersi affermare che la cennata “caduta del principio di legalità”, come è stato sin qui inteso, va posto in netta correlazione con l’attuale cambio di verso dell’intero assetto istituzionale e con la trasformazione del tradizionale sistema di rappresentazione della volontà popolare, espressa da quella che intendiamo come politica.
Quel che, in proposito, si intende evidenziare è l’avvenuto mutamento della struttura dello Stato che, dalla conformazione piramidale di diffusione del potere dall’alto verso il basso, è venuto ad assumere quella reticolare mediante la progressiva creazione di un sistema giuridico complesso e di sub-sistemi: il che ha portato, come plasticamente definito da A. Predieri[9], al “passaggio dal palazzo, parente stretto della piramide alla rete parente dell’arcipelago”, ovvero, come recentemente scritto dallo storico M. Ferguson, al rovesciamento del potere gerarchico espresso dalla torre in quello delle reti sociali rappresentato dalla piazza.[10]
Fenomeno questo determinato, in primo luogo, dall’espansione ancora in atto di un’area pubblica intermendia (quella della c.d. “sfera pubblica”) costituita da canali diversi da quelli tradizionali della rappresentanza e decisione politica, quale quello tracciato dall’ascesa della legittimazione mediatica, prebliscitaria e/o giudiziaria.
Infatti, accanto all’oramai vetusto ruolo di mediazione svolto dal circuito dei partiti politici e dei movimenti affini, si assiste all’ingresso entro la “sfera pubblica”, fra l’altro:
- del circuito costituito dalle Autorità amministrative Indipendenti;
- del circuito mediale delle comunicazioni;
- del circuito delle decisioni procedurali (cd “a surrogate political process” e “administrative judge”);
al circuito giudiziario ed allo stesso tempo ad un processo tendente alla realizzazione di un maggior decentramento e devoluzione delle responsabilità.
Contesto evolutivo entro il quale giova, poi, includere le trasformazioni ordinamentali indotte dall’incidenza sul piano normativo delle interrelazioni con le istituzioni ed organizzazioni operanti anche a livello internazionale e globale.
Si pensi alla progressiva costituzionalizzazione di taluni principi generali della U.E., alla “cogenza materiale” della normativa contenuta nella Convenzione Europea, alla riconosciuta esistenza di principi comuni generalmente riconosciuti al di sopra della normazione comunitaria, agli adattamenti delle normative dei singoli Stati a quelle comunitarie in senso non più verticistico bensì orizzontale, continuo e competitivo, dove all’istituto dell’abrogazione (tipica dei sistemi “piramidali”) viene sostituita quella della disapplicazione (che caratterizza i sistemi di common law), nonché alla affermazione di un diritto fattuale comunitario.
Non meno rilevante è, sotto un ulteriore profilo, l’intervento di nuovi soggetti sullo scenario mondiale che, dando voce al nuovo pubblico interesse della società civile globale, concorrono alla spartizione del potere mondiale in modo atipico intervenendo lungo il processo di formazione normativa, proponendo nuove istanze, avanzando soluzioni dei problemi, svolgendo un ruolo di “enforcement” per sorvegliare l’esecuzione e l’applicazione delle norme anche in sede di giudizio, attivandosi in vario modo nella fase di “law marking”.
In tali casi, rispetto alla giuridicità classica, si parla piuttosto di “normazione fattuale”, di mero “processo giuridico” di “law marking”, di “enforcement”.
Fra tali nuovi soggetti in continua formazione, basta citare, a titolo indicativo:
- le Trans National Corporations (TNC);
- le Trans National Non-Government (NCOS) ;ù
- il sistema degli arbitrati internazionali ;i sistemi professionali di revisione contabile;
- l’organizzazione denominata Unit Droit;
- le burocrazie internazionali quali il FMI, la Banca mondiale, la Commissione Europea, le Organizzazioni mondiali per il commercio ed altre analoghe.
In tale contesto, solo esemplificativo, occupa una posizione di tutto rilievo il tentativo in atto di creare un grande mercato comune transatlantico (Transatlantic Trade an Investment Partnership, TTIP), le cui trattative prevedono, fra l’altro, l’istituzione di un meccanismo di “arbitraggio delle controversie” tra gli Stati e gli investitori privati (Investor State Dispute Settlement – ISDS) che consentirebbe alle multinazionali addirittura di trascinare in giudizio gli Stati i quali facessero evolvere la loro legislazione in modo pregiudizievole rispetto alle aspettative economiche discendenti dalle condizioni sottoscritte con il trattato. In proposito, come ben evidenziato da Alain De Benoist[11], ci si verrebbe a trovare di fronte ad una “privatizzazione totale della giustizia e del diritto” nel momento in cui viene ad essere messa in discussione “la capacità degli Stati di legiferare” allorché “le norme sociali, fiscali, sanitarie e ambientali derivebbero non più dalla legge, ma da un accordo tra gruppi privati, le aziende multinazionali ed i loro avvocati”.
Con una ricaduta sul principio, di legalità che non è difficile immaginare!
5. Sicchè può parlarsi della progressiva affermazione di una sorta di “Stato osmotico” alla continua ricerca di bilanciamento ed equilibrio mediante una “compenetrazione continua e reciproca con la società”, fra organizzazioni politiche, sociali, economiche, fra Stato e mercato, fra pubblico e privato, fra associazioni della politica. Cioè di un sistema di “countervaling powers” caratterizzato dalla flessibilità necessaria a modulare gli spostamenti di potere dal legislativo all’interpretativo, dallo Stato all’Unione Europea, ai trattati sui diritti ed alle forze del processo di globalizzazione.
Come suggerisce A. Predieri[12], in tale contesto evolutivo, “la complessità della società e dello Stato […] si può comprendere nel termine di “politeia”, indicativo di miscuglio fra “elementi diversi appartenenti a organi rappresentativi , a organi non-rappresentativi, a poteri pubblici ed al mercato”.
Mano a mano che il soggetto Stato perde la esclusività di “law marker” di un diritto astratto e di un ordinamento spersonalizzato, la sovranità si affievolisce in capo ai tradizionali soggetti giuridici per distribuirsi, polverizzandosi ed allargandosi, fra un alto numero di nuovi soggetti, sia all’interno dei singoli Stati, sia sul piano globale: dando, così, luogo ad una “complex sovereignty”, cioè ad una diffusione o complessificazione della sovranità, in una sorta di “international government”.
Si assiste, perciò, alla costruzione di una giuridicità camaleontica ed aperta rispetto al carattere chiuso, autoreferenziale, specializzato, coerente, completo ed ordinato che consentiva, nella tradizione giuspositiva europea, la formazione del diritto come scienza giuridica o sistema ricollegabile ad un ordine generale di giustificazione o ad un “corpus” logico di natura sistematica.
6. La considerazione conclusiva che scaturisce dalla disamina fin qui svolta è che la legge oramai è accerchiata, aggirata ed addirittura strumentalizzata: sì da perdere la sua posizione di centralità e la funzione di “ordo ordinans” nell’ambito del sistema giuridico complessivo allorché è divenuta solo un mezzo di legalizzazione diffusa e si è andata a relativizzare secondo gli input e le pressioni provenienti dai nuovi centri di potere e dai nuovi signori del diritto.
Non deve, quindi, destare alcuna meraviglia il fatto che da più parti si tenda a superare lo stesso modello tradizionale di ordine parlamentare affermatosi in Occidente negli ultimo secoli ed a realizzare una sorta di democrazia diretta grazie anche al sostegno tecnologico offerto dai nuovi sistemi informatici: creati, sviluppati e messi a disposizione dai poteri economico finanziari, come, ad esempio, il sistema denominato “block chain” ed i progetti flux democracy earth o DAO (Organizzazioni autonome decentralizzate) con i quali si “intende realizzare per via telematica, il sogno libertario di comunità volontarie che prescindono da ogni sovranità, coercizione, dominio dell’uomo sull’uomo”, concretamente attuato seppure in scala ridotta con la c.d. Bitnation mediante la tecnologia Ethereum che ha come obiettivo quello di “liberare l’umanità dall’oppressione e dalle sanzioni di una sovranità imposta dall’apartheid geografica, dalla xenofobia e dalla violenza di cui si nutre l’oligopolio dello Stato tradizionale”[13].
Tant’è che, per altro verso, gli stessi attuali capi politici oggi “non comunicano più attraverso la organizzazione capillare del partito o attraverso il Parlamento ma parlano direttamente al popolo attraverso Facebook e tweet guardando cosa risponde la massa popolare e ogni volta fanno quello che fa salire le loro quotazioni e danneggia quelle dei loro avversari”: agendo così “come in borsa, dove le quotazioni cambiano continuamente e gli annunci contano più dei risultati reali”[14].
Sicché, può essere fondatamente detto che, secondo tale ottica, “non serve più il Parlamento e non serve una classe dirigente competente” perché “saranno i singoli cittadini a dire con il web che cosa vogliono ed il governo deve limitarsi a darglielo”[15].
Senonchè, il risultato di siffatti tentativi, ove ipoteticamente dovessero realizzarsi, piuttosto che un aumento di democraticità, sarebbe quello di annullare ogni barlume del principio di legalità per effetto di una volontà politica indistinta, fluida, costantemente mutevole solo in ragione delle esigenze di sviluppo di una certa organizzazione e senza nessuna considerazione del mondo valoriale racchiuso nell’individuo: sì da far preconizzare la scomposizione della società globale in una “comunità incoerente tra individui atomizzati”[16].
Fenomeno involutivo che sta alla radice dell’attuale prepotente interesse verso i c.d. “diritti fondamentali dell’uomo” rivendicati proprio di fronte al ripetersi, come “a ogni svolta epocale, prima di ogni mutazione”, dello “scontro potente tra organismo e organizzazione”: quale fenomeno originario tra il mondo naturale e quello della tecnica e delle sue leggi, tra il processo di uniformazione automatica imposto dall’azione economico-finanziaria e la naturale resistenza delle “potenze” presenti nel popolo, nella famiglia e nell’Humanitas[17].
Senza tener conto della possibile incontrollabile incidenza della nuove tecniche di manipolazione del consenso e comportamentali: una delle quali è conosciuta come “finestra di Overton” che consiste nello spostamento progressivo della cornice del quadro dei valori attraverso messaggi abilmente indirizzati attraverso i media ed altri sistemi di comunicazione in modo da indurre i destinatari progressivamente a ritenerli come accettabili.
Fatto sta che, come rilevato da A. Mancia[18], a commento di un recente saggio di Max Stiner[19], oggi si parla sempre e soltanto di gruppi e si tracciano confini su ogni categoria (gruppi, lobby e corporazioni in cruenta contrapposizione fra loro) come se ciascuna di esse “fosse un popolo diverso, con la sua identità,i suoi uffici stampa, i suoi centri di reclutamento, i suoi interessi troppo particolari, le sue permalosità ancestrali”, senza nessuna attenzione, però, per l’individuo ed il sistema dei valori!!
Tant’è che la più solida democrazia del pianeta quella nata negli Stati Uniti d’America “si contorce tra gli spasmi di una politica identitaria basata sul “microtargenting” cercando di blandire un numero sempre maggiore di fazioni (spesso incompatibili fra loro) per raggiungere la soglia di una (effimera) maggioranza aritmetica”.
7. A ben riflettere, seguendo tali riflessioni, si è forse giunti al punto di massima estensione del moderno esercizio del potere che, cessando di manifestarsi come forza di costrizione e imposizione “fisica”, si è andata evolvendo in subdola modalità di assoggettamento psicologico. Processo di trasformazione che era stato a suo tempo ben intuito da Paul-Michel Foucalt il quale spiegava come l’oggetto del potere sociologicamente inteso non è più rappresentato dal “corpo” degli individui ad esso assoggettati bensì dalla loro stessa “volontà”: avendo il potere trovato il modo di indurli a credere di voler liberamente scegliere quel che i suoi detentori giudicano utile doversi fare[20].
Questa constatazione è ancora più valida ora che siffatta mutazione di verso del potere può sempre più efficacemente avvalersi di nuovi e pervasivi mezzi e sistemi di controllo e di indirizzo comportamentale capaci di “impiantarsi nella nostra testa […] distruggendo la tradizione economica e della conoscenza e quindi la (nostra) vita e, in generale, la produzione della cultura”[21]: risolvendosi, così, a tutto vantaggio dell’organizzazione dominante, lo “scontro potente” ipotizzato da E. Jünger e che, nel momento storico che stiamo attraversando, sta segnando l’affievolimento della sovranità statuale, del senso del diritto, delle identità individuali e collettive, nonché del valore primario dei naturali e fondamentali diritti umani e, financo, della religiosità!
Sì da far apparire realizzabile la tesi sostenuta da M.N. Rothbard circa “la necessità e la possibilità di assoggettare alla logica del mercato tutte le funzioni tradizionalmente attribuite allo Stato- comprese la Giustizia, l’ordine pubblico, la difesa, la scuola etc”[22].
Tutto ciò, nella malcelata convinzione da parte dei sostenitori di tali nuovi modelli di “governance”, che, inglobando in matematiche formule algoritmiche tutti i dati sensibili emergenti dalla dinamica dei fenomeni e dei comportamenti sociali diffusi, si possa programmare e guidare, anche sul piano ordinamentale e del diritto, lo sviluppo delle interrelazioni umane secondo le esigenze dettate dal profitto delle organizzazioni economiche e produttive dominanti.
In tal modo, portando alle estreme conseguenze un’improvvida opera di “sradicamento” di tutte le varie forme sociali a carattere identitario (individuali, collettive, territoriali, tradizionali, familiari, di genere, etniche, religiose e fondate sul diritto naturale) che si frappongono o, comunque, sono destinate a costituire il comune tessuto della convivenza e che si pongono come argine al dilagare del c.d. “pensiero unico universale”. Provocando, altresì , l’accrescimento del baratro “che separa il progresso morale e dei costumi da parte dell’umanità dal suo progresso tecnico e industriale”[23].
8. A nostro avviso, è proprio l’espandersi di questo “vuoto” che determina il progressivo affievolimento del principio di legalità e, con esso, la perdita di ogni sistema capace di assicurare uno sviluppo equilibrato ed umanamente sostenibile entro la dinamica evolutiva indotta dagli strumenti tecnologici ed economico-finanziari tipici della società globale post-moderna.
Infatti, nello spazio lasciato libero dal potere aggregante e selettivo della funzione legislativa e, quindi, dall’esclusiva azione rappresentativa propria della funzione politica, si vanno insinuando nuove mutevoli e subdole forme di dominanza che, pur rivestendosi di legalità formale, sono in realtà prive di uno stabile e condiviso centro istituzionale di riferimento (government) e legittimate soltanto dalla loro diffusa e momentanea capacità fattuale di regolare le situazioni contingenti secondo ragioni organizzative di mera opportunità e di convenienza economica ed utilitaristica..
Cosa rimane, allora, dell’invocato e tanto negletto principio di legalità, come tale funzionalmente destinato proprio a riempire quel vuoto garantendo l’armonico sviluppo della società civile in simbiosi fra l’elemento umanistico e quello mercantile,fra il mondo dei valori e quello delle esigenze produttive ed economico-finanziarie, fra l’individuo e l’organizzazione?
Cosa rimane di esso di fronte alla lenta e forse inesorabile trasformazione dello stesso modo di porsi del potere, laddove appare entrare in crisi persino la tradizionale tripartizione dei poteri a causa della progressiva affermazione e travalicazione di nuove forme di “governance” create dal prevalere incontrastato delle forze e degli interessi del mercato?
Infatti, come può ancora concepirsi l’esistenza di un presidio di legalità quando deve constatarsi la nascita incontrastata, accanto al già consolidato “quarto potere” (rappresentato dalla stampa) ed al c.d. “quinto potere” (costituito dal sistema di comunicazione radiotelevisiva e tramite internet), addirittura di un sesto potere (esercitato dalle organizzazioni dei “big data”) il quale, per sua natura, è in grado di condizionare pesantemente le scelte collettive, la stessa democrazia e persino il principio di reciproca indipendenza rispetto al potere legislativo?
Basti richiamare, in proposito, il recente fatto di cronaca riguardante il caso di “Cambridge Analytica” che ha fatto ipotizzare, addirittura, il condizionamento della campagna presidenziale statunitense del 2016 ed il referendum sull’uscita del regno Unito dall’Unione Europea[24]!
9. Ulteriore interrogativo deve porsi anche per ciò che riguarda la sorte del principio di legalità di fronte all’indiscriminata assunzione e legalizzazione dei nuovi c.d. diritti umani sulla base dei valori fondamentali emergenti in modo fattuale nell’ambito della dinamica dei rapporti globali ispirati da un’evanescente esigenza di “etica sociale”.
Tanto più se siffatta assunzione “legale” tende ad essere operata per via interpretativa mediante il “bilanciamento” fra i valori formalmente espressi e quelli che si assume abbiano fondamento nella “coscienza sociale”, ovvero attraverso interventi legislativi occasionali e contingenti “dettati” dall’opinione pubblica sotto l’effetto dell’emozione suscitata da vicende concrete di rilevanza mediatica.
Senza considerare che un tale modo di procedere implica spesso il “sacrificio” di altri diritti consolidati, condivisi, formalmente riconosciuti e fondati anch’essi su altrettanti validi principi!
E cosa dire al riguardo in merito al c.d. “diritto della globalizzazione” nell’ambito del quale si vanno affermando valori e situazioni giuridiche che si impongono, in assenza di un’apposita autorità istituzionale, anche solo in base a poteri fattuali e secondo rapporti di forza tra organismi internazionali di vario genere: capaci, per ciò solo, di condizionare anch’essi l’attività legislativa, giudiziaria ed amministrativa degli Stati aderenti a determinati accordi ed anche di quelli terzi interessati, comunque, ad intrattenere rapporti con le organizzazioni di riferimento?
Cosa ne è ancora del principio di legalità quando si assiste ad una costante diffusa perdita dello stesso senso giuridico comune (sul quale essenzialmente si fonda la coesione fra i membri della comunità), compromesso da insensate campagne mediatiche a tutto campo, da correlative espressioni di giudizi da parte di personaggi chiaramente incompetenti, dalla propalazione di valutazioni legali incontrollate, da iniziative giudiziarie non sufficientemente ponderate, da proposte politiche insostenibili o giuridicamente infondate, nonché da interpretazioni giuridiche dalle quali scaturisce anche autorevolmente l’idea che “i giuristi possono dire tutto ed il contrario di tutto”.
Così, “tutto” diventa fluido, incerto, imprevedibile, provvisorio, finendo con il travolgere gli stessi valori e con il relativizzare i principi cui essi si ispirano.
10. Nell’ottica di noi giuristi cattolici, come tali impegnati a rinvenire ed a cercare di infondere nel diritto le tracce che conducono al messaggio evangelico, il declino del principio di legalità e, con esso, dello Stato di diritto, rappresenta un’involuzione parallela a quella segnata dal montante processo di secolarizzazione della Società: del quale in sostanza condivide le cause, determinate dalla divaricazione in atto fra il fatto puramente umano e spirituale e l’aspetto pratico dell’esistenza prodottasi sotto l’effetto delle trasformazioni create a livello planetario dallo sviluppo tecnico, industriale e mercantile.
Pertanto, sia per il giurista tout court (interessato alle sorti dell’individuo esclusivamente dal punto di vista laico), sia per il giurista cattolico (attento alla salvaguardia della componente religiosa e spirituale di ciascun individuo), si pongono le medesime problematiche che abbiamo sin qui prospettato e che si diversificano solo in ragione dei valori di fondo che, per noi, sono quelli di ispirazione cristiana.
Proprio per questa ragione, come giuristi cattolici abbiamo un compito, per un verso, più agevole, e, per altro, più arduo: in quanto tenuti a maggiore coerenza rispetto all’osservanza di principi per loro natura ben definiti, irrinunciabili e “non negoziabili” e quindi, insuscettibili di essere oggetto di “bilanciamento” e di adattamento a quelli che scaturiscono dall’Etica sociale o che si sostanziano nelle esigenze del profitto, del mercato e dell’opportunismo.
Fermo restando, da laici, la libertà di poter assumere e rappresentare anche politicamente tutti i valori non-confliggenti con quelli cristiani e, per altro verso, il dovere di non limitarci a comprendere e ad “elaborare visione del mondo compatibili con le dinamiche sociali del presente[25] bensì di portare autonomamente avanti anche nell’agone politico la nostra “visione del mondo” nella prospettiva di una sua concreta affermazione sul piano giuridico e normativo!
11. In tale ottica, nel condividere l’ammonimento del Cardinale Camillo Ruini, secondo il quale non bisogna “né resistere alla modernità né assecondarla”[26], è giocoforza che ai giuristi ed al popolo cattolico spetti l’onere di “partecipare” anche ponendosi come autonomo soggetto politico con una impostazione strategica ed una conformazione strutturale ben definita nel quadro della politica nazionale ed internazionale.
Sotto il primo di tali profili, si ritiene che solo la scoperta da parte dei cattolici “come tali” dell’autonomia e singolarità di un proprio specifico ruolo propositivo ed aggregante potrà evitare di farli restare vittime del peccato originale che, fin qui, li ha portati ad occupare solo una posizione subordinata o ausiliaria in seno ad altri partiti o ad impegnarsi in ordine sparso all’interno di contingenti e variegate formazioni politiche: finendo, così, con il condividerne l’ascesa ed il declino.
Orbene, tale auspicata emancipazione “strategica-identitaria” dei cattolici in politica non sarebbe di per sé risolutiva se non fosse accompagnata dalla ristrutturazione del loro assetto operativo che tenga conto delle mutazioni intervenute nel modello generale della rappresentanza politica..
Invero, in ordine a tale prospettiva, va osservato che il sistema elettorale è stato fin qui sostanzialmente e prevalentemente governato mediante l’interpretazione elitaria e verticistica delle esigenze nascenti dalla comunità sì come vincolata dalle rigide organizzazioni dei partiti tradizionali e valorizzate da ben definite impostazioni ideologiche calate dall’alto.
Tale sistema ha lungamente resistito fino a quando la pressione esercitata dalla complessità delle nuove emergenze indotte dalla lenta erosione dell’ordine istituzionale, produttivo e commerciale ad opera della tecno-economia globalizzata, ha finito con il porre in crisi, insieme con i partiti tradizionali, anche tutte le altre entità intermedie (dagli stessi partiti alle famiglie ed alle tradizionali agenzie di socializzazione), oltre che il sistema stesso della vecchia “governance”, producendo quella che viene oramai comunemente intesa come la “società liquida” preconizzata dal sociologo Zygmunt Bauman.
In questo generale e nuovo contesto “evolutivo” si sono così fatte avanti nuove forme spontanee di aggregazione e di azione “politica” che, premendo alla base della comunità, sembrano destinate a condizionare, anche con l’ausilio della tecnica delle comunicazioni ed in modo pressoché stabile e costante, gli stessi organi di vertice: sia mediante un capovolgimento di “verso”del processo di elaborazione progettuale e normativo rispetto al tradizionale e statico sistema piramidale di esercizio del potere, sia attraverso una mutazione di “senso” della proposta politica, non più condizionata dalle ideologie imposte dall’alto bensì caratterizzata dalla concreta ed attuale capacità di offrire e proporre modelli normativi e progetti che consentano di dare soluzione pratica ai problemi ed ai bisogni contingenti della collettività, seppure filtrati e valorizzati sulla base di una determinata propria “visione del mondo”.
In tale prospettiva, si apre per i cattolici un vastissimo nuovo campo di azione da condividere con tutte le formazioni di ispirazione cristiana, oltre che con il mondo del laicato sensibile ai valori evangelici ed a quelli della dottrina sociale della Chiesa. A patto, però, di rinunciare a procedere in ordine sparso od a porsi in posizione subordinata e precaria all’interno dei tradizionali partiti politici: assumendo, invece, un attivo ruolo movimentista capace di veicolare dal basso le istanze e le problematiche dell’attuale dinamica sociale e di rappresentarle in concrete ipotesi economiche e normative di rinnovamento.
Ben consapevoli, nello svolgimento di tale ruolo politico, di potersi avvalere anche della loro naturale e genetica vocazione universalistica, così come è globale la sfida condotta dalle forze che tendono all’affermazione del governo mondiale ed all’assoggettamento di tutte le entità e forme di aggregazione sociale identitaria alle rigide leggi materialistiche dell’economia, della finanza e del mercato.
12. Come invertire tale tendenza e recuperare la forza legittimante insita nel principio di legalità?
Certamente senza doversi opporre tout court alla modernità ed alle nuove forze che la compongono ed alimentano (siano esse finanziarie, commerciali, globali, tecnologiche, cibernetiche), bensì interagendo con esse mediante il recupero della ineliminabile funzione insita nella legge di garantire il sistema complessivo a tutela dei valori fondamentali e non negoziabili essenziali per il vivere civile: nel rispetto della persona, della logica giuridica, della coerenza dei concetti e delle istituzioni, del senso di reciprocità, del livello minimo di regolarità procedurale del “due process of law”, della ragionevolezza ed equità, usando “un’intelligenza di rete e non di palazzo”[27].
Occorre, cioè, che la legge, cessando di essere docile strumento di mera legalizzazione di tutto ciò che le viene imposto dalla società e dai gruppi di potere, ed interrompendo la sua deriva relativistica, divenga, piuttosto, un centro ed un faro di legittimazione sulla base di valori condivisi ed elaborati attraverso i tradizionali percorsi della rappresentanza politica e secondo i canoni della scienza giuridica.
Così da poter disegnare, come ho avuto modo di indicare in un mio saggio risalente al 2001[28], “le linee reticolari che delimitano la ‘sfera pubblica’ mediante una valutazione previsionale di effettività” e di coerenza! Dominando ed illuminando la rete di produzione diffusa (e non più verticistica) del diritto, anziché dissolversi in essa, e formulando tracce per lo sviluppo e la legittimità della produzione normativa nell’ambito di un sistema reticolare ed orizzontale dei poteri.
In tal senso, la legge, ridivenuta necessariamente generale ed astratta, deve svolgere solo una funzione predittiva che, secondo l’efficace immagine suggerita da G.Guarino,consiste nella capacità di “fare previsioni su ciò che accadrà, allo stesso modo in cui, seguendo sul terreno le linee che l’acqua che sgorga da una nuova sorgente va formando, si individua il corso del fiume che si formerà”.
[1]R.Canosa, La Magistratura in Italia dal 1945 ad oggi, il Mulino, 1974, p. 24.
[2]C. Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea ed. Pellicani, 1996, p. 85 nota 42.
[3]C. Schmitt, ivi p. 50.
[4]C. Schmitt, ivi pp. .70 -71.
[5]C. Nordio, Il Giornale, (8 settembre 2018).
[6]F. Alberoni, I rischi illiberali dietro il candillismo dei social, Il Giornale (9 settembre 2018).
[7]G. Tremonti, Lo Stato criminogeno, Sagittari Laterza, pp.70-71.
[8]C. Schmitt, op. cit. , pp.84-86.
[9]A. Predieri, L’irrompere delle Autorità Amministrative Indipendenti, Passigli Editori, Bagni a Ripoli, p.31.
[10]N. Ferguson, La Piazza e la Torre, Le reti, le gerarchie e la lotta per il potere. Una storia globale, Mondadori, 2018.
[11]A. De Benoist, La fine della sovranità, Arianna, p.79 ss.
[12]A. Predieri, op.cit., p.21.
[13]C. Lottieri, Così la rete ha già cominciato a superare l’idea di democrazia, Il Giornale (30 luglio 2018).
[14]F. Alberoni, I rischi illiberali dietro il candillismo dei social, Il Giornale (12 agosto 2018).
[15]F. Alberoni, Dove porta la strada della presunta democrazia diretta, Il Giornale (12 agosto 2018).
[16] R. Dahrendorf, Verso il secolo autoritario, “Internazionale”, n. 213, p.20 (1998).
[17]E. Jünger, Lo Stato mondiale – Organismo e organizzazione, Guanda: cit. anche da C. Rinaudo, Diritto, politica e mercato nella società globale post-moderna, “La Giustizia Penale” I, pag. 46 ss. (2001).
[18]A. Mancia, Così Max Stirner difese l’Unico dalla tirannia dei molti, Il Giornale (4 agosto 2018).
[19]M. Stiner, L’Unico e la sua proprietà, Bompiani.
[20]P. M. Focault, Sorvegliare e punire, Einaudi
[21]E. Barbieri, Privacy e libertà. Così la Silicon Valley ha preso il controllo delle nostre menti, Il Giornale (7 settembre 2018) in rif. al saggio di F. Foer, I nuovi poteri forti. Come Google, Apple, Facebook e Amazon pensano per noi, Longanesi.
[22]A. Tortorella, M. Tortorella, Cripto svelate, Paese edizioni, p.23.
[23]C. Schmitt, Il concetto di impero nel diritto internazionale, Settimo Sigillo, p.69.
[24]G. Arbia, Big data: ecco i volti del “sesto potere”, Vita e Pensiero, n. 4 (luglio-agosto), p.1655 (2018).
[25]F. D’Agostino, L’antropologia e nuovi doveri. E’ tempo di costruire valori non norme, Avvenire (22 marzo 2018)
[26]Card. Camillo Ruini, Intervista, Il Corriere della Sera (8 febbraio 2018).
[27]G. De Rita, Mille poteri per sconfiggere il monoteismo della politica, Il Corriere della Sera (4 aprile 2018)
[28]C. Rinaudo, Diritto, politica e mercato nella società globale post moderna, cit I, 63.