Il Prof. Antonello Blasi, partendo dalla recente misura del “reddito di cittadinanza”, analizza gli elementi e le valutazioni che nel tempo hanno spinto 266 Pontefici a sostenere i poveri, sempre nell’auspicio però di sostenerne la formazione e l’emancipazione dalla condizione di bisogno, facendosi “utili e industriosi“.
RDC . Ovvero Reddito di Cittadinanza o Rinnovamento della Catechesi: sussidi e carità nella Roma papalina visti dalle lenti di una legge del Regno d’Italia del 1871.
Antonello Blasi
Nella pagina 5 di Avvenire del 6 marzo a grandi lettere è comparso “Rdc, via alla corsa. Si teme il caos”.
Nelle stesse pagine per anni RDC è stato il felice acronimo e del più bel documento della pastorale postconciliare, il Rinnovamento della Catechesi[1], dando vita all’entusiasmo dei giovani catechisti che all’epoca si affacciavano nella loro missione tra i bambini e i ragazzi di tutta Italia.
Oggi invece, desfogliate le pagine e salita in cattedra la conoscenza per via informatica digitando le tre lettere RDC ecco apparire il “Reddito di cittadinanza”, uno dei temi sempre presenti su tutti i media insieme all’emergenza umanitaria dell’immigrazione[2] uniti dal filo della solidarietà ed assistenza.
Con l’editoriale in Avvenire del 7 febbraio u.s. Becchetti scrive che “sui temi della povertà e della tutela degli ultimi” non si possono fare le guerre fondate su ideologie e pregiudizi, ma serve un “approccio costruttivo” nell’identificare limiti e falle ricordando che il risultato viene arricchito da un confronto “anche aspro” con l’opinione pubblica e le forze di opposizione[3].
Mi sembra che queste righe siano un buon gradino della scala che porta al principio del vedere ciò che ci unisce e non ciò che ci divide[4] di giovannea memoria ed anche il testo di una legge del Regno d’Italia – la numero 250 – del cinque giugno del 18715[5] che ci è comparsa – quasi per caso – mentre -nell’occasione dei 90 anni dai Patti Lateranensi – si sfogliava il testo della legge delle Guarentigie, memoria per gli storici, oblio per i molti.
Scritta quando Roma era diventata italiana solo da otto mesi e mezzo (20 settembre 1870) e composta da un unico articolo, così recitava:
“E’ autorizzata la maggior spesa di lire 500,000 al capitolo n.14 del bilancio passivo del Ministero dell’Interno per continuare nei mesi da aprile a tutto dicembre dell’anno 1871 la somministrazione dei fondi necessari, affine di sopperire alle spese di beneficenza già sostenute dalla Commissione dei sussidi in Roma”.
Il neonato Regno d’Italia (aveva appena dieci anni!), con Roma -promossa o retrocessa secondo i punti di vista di allora- neocapitale dal tre febbraio sempre del 1871[6], riconosceva valida anche nella sua nuova veste e giurisdizione un “reddito di cittadinanza” concesso dalla Commissione dei Sussidi dello Stato Pontificio[7] fin dal 1826[8] con lo scopo di fare erogazioni “di beneficenza e di sanità pubblica” a carico dell’Erario.
Nella vigenza dello Stato Pontificio (quindi fino a settembre del 1870) la somma stanziata era di 1,350,135 “in ragione di poco più di 110,000 al mese. Era la carità legale in sistema[9]”. Cessato per occupazione quel millenario Regno del Papa-re, il subentrante non abrogò l’erogazione e così, per il primo anno del nuovo corso – in una Roma capitale da quattro mesi – pur tagliando il quantum del 60 per cento, mantenne in via transitoria questo istituto di “carità legale” nel sistema finanziario lasciando anche in vigore la Commissione perché “Le riforme vanno introdotte grado a grado[…]per evitare seri imbarazzi al Governo”[10]scritto dall’avvocato commentatore di quel tempo, con grande saggezza ed intuito.
La transitorietà permise quella funzione sociale ammortizzatrice dei mutamenti che, diversamente, provocherebbero nei destinatari delle norme, sconcerto, incomprensioni, irritazioni e quant’altri effetti riflessi negativi verso il nuovo spesso sconosciuto o rappresentato comunque come assolutamente negativo dall’opposizione alle innovazioni.
E in questo caso, mutando addirittura lo Stato e il suo sovrano considerato da molti occupante in maniera belligerante, considerare e legiferare per una prosecuzione pur nella transitorietà è di esempio del rispetto politico verso i nuovi sudditi e di tutela al re che doveva entrare nella Città Eterna.
Il commentatore della legge proseguiva rilevando che questa modalità di intervento di politica economica non sarebbe stato di competenza di un Governo ovvero praticare la carità sì che il denaro “degli uni converta a benefizio esclusivo di qualche altro e per titolo di elemosina o sussidio”. Sono ancora lontane le teorie dello stato sociale e dell’intervento pubblico nell’economia, le teorie socialiste propugnavano rivoluzioni e gli aiuti erano stanziati -anche tra le nazioni- mediante generi alimentari e vestiario. Un contributo a fondo perduto era considerato un avventato inutile e pernicioso investimento e di cattivo esempio al risparmio.
Ma “considerazioni politiche e di pubblica sicurezza” consigliarono l’erogazione – destinata a scomparire – salvo alcuni pubblici servizi “addossati
alla provincia ed al comune”[11].
Dunque grazie a motivi di ordine pubblico e per raffreddare gli animi la sovvenzione trovò la giustificazione per la sua permanenza; si ripete, con altre modalità, quel plurimillenario ritorno storico della conservazione del potere causa prima dei giubilei sumero-babilonesi[12] e del panem et circenses di romana memoria[13] mediante i quali con il primo venivano rimessi i debiti e con il secondo concesse erogazioni di generi alimentari e di servizi-eventi celebrativi per evitare sommosse e rivolte contro l’ordine costituito[14].
Ma la pietas verso, allora almeno censiti, i sessantamila poveri di Roma dura poco giacché torna la mens liberal-giurisdizionalista del commentatore del 1871 che giustifica la breve temporalità della sovvenzione sostenendola con una estrapolazione del pensiero del Cardinal Pallavicino, autore della Storia del Concilio di Trento[15] da dove trae l’affermazione che, tranne i rari casi di infortunio, “la povertà è generata da cause colpevoli, come sarebbero il lusso, la crapula, il misfatto e la pigrizia”.
È l’orrore della povertà che quindi spingerebbe gli uomini al lavoro e dunque, con retorico ragionamento, il Bertetti fa riflettere sugli esiti infausti se i poveri potessero contare sopra un soccorso facile e sicuro alle loro indigenze: e non è questo il convincimento ancor oggi di molti ?!
Il commentatore poi incalza ricordando che il Cardinal Pallavicino alludeva alle sovvenzioni attinte dai beni ecclesiastici “che la chiesa indica come patrimonio dei poveri” non di quelli statali “che sono le privazioni i sudori e le lacrime dei contribuenti”[16]. Parole che suonano immutabili ed anzi con maggior vigore a quasi 150 anni dallo scritto.
Il movente dell’aiuto misericordioso – di beatitudine monito – ha sollecitato i 266 pontefici al sostentamento “a fondo perduto” dei poveri come mai nessun re, imperatore e repubbliche fecero nei secoli dei secoli; con un diverso e, diremmo, moderno obiettivo, sono le intenzioni che ritroviamo nel chirografo che il 26 febbraio del 1826 scrisse papa Leone XII al Cardinal Riario Sforza[17] con il quale istituì la Camera dei Sussidi (oggi Elemosineria Apostolica).
In esso si legge che “i veri poveri dalla miseria… e poveri scioperatamente volontari dalla mendicità, e dall’ozio, rendendoli colla distribuzione dei sussidi ben distribuiti e operosi, ed istruiti di modo che anch’essi, come sono nello stato di mendicità, a carico della società, divengano così, e si formino individui utili e industriosi”.
Qui troviamo, in nuce, la ratio dell’odierno discusso reddito di cittadinanza, che passerà anche per la formazione del “buon cristiano e onesto cittadino” di salesiana memoria[18].
I valori sono inequivocabilmente cristiani, purché gli eroganti e i percipienti aderiscano all’onesta erogazione e percezione del sussidio/reddito – sempre provvisorio – per crescere nella propria educazione civica senza lasciarla su antichi banchi di scuola per correre dietro, come Collodi ammoniva, alla fiera della furbizia e opportunismo vendendo perfino l’abbecedario che il babbo Geppetto aveva acquistato vendendo la sua casacca[19] . Il tempo in cui la morale è ceduta “per quattro soldi” al venditore di cenci usati è di stringente attualità.
In un periodo che i libri di storia italiana frettolosamente passano oltre (dal Congresso di Vienna del 1815 subito al 1848)[20], Papa Leone XII nel 1826 nominò una commissione presieduta dal Cardinale Riario Sforza con il primo segretario nella persona dell’uditore di Rota monsignor Cosimo Corsi e dall’elemosiniere segreto monsignor Filippo Filonardi[21] per redigere un progetto di regolamento che raccogliesse in unica massa patrimoniale tutte le entrate e principalmente le offerte[22] . Di fatto costituì una Fondazione per coloro che erano stati ridotti in miseria e la chiamò “Cassa generale dei sussidj”[23].
Nel regolamento di attuazione del dicembre 1826 compaiono articoli che oggi possono essere etichettati come “strumenti di fundraising”: collette, offerte, entrate mediante eventi e pubblici spettacoli[24] che dovevano confluire in questa Cassa.
Al divieto di mendicità[25] contrappose “sussidi personali o in danaro o in 25 vitto[…] o in somministrazione di mezzi per lavorare al fine di togliere gli accattoni e per la somministrazioni domiciliari alle famiglie per “poteri presentare senza rossore alla casa d’industria…. O in somministrazione di lavori da eseguirsi nelle rispettive case”[26].
Papa Leone XII raccomanda anche la cura per la scelta delle persone preposte a selezionare, in maniera gratuita[27] e senza raccomandazioni, i poveri che dovevano essere “veramente meritevoli” istituendo per ogni rione o gruppo di parrocchie un comitato composto da un nobile da un cittadino negoziante, una dama[28] e una cittadina e presieduto da un ecclesiastico della zona in modo da raccogliere i dati da inviare alla Commissione.
La valutazione sull’effettiva meritevolezza alla percezione del sussidio era fatta sulla buona condotta[29] mediante le notizie che venivano fornite dal parroco di zona[30] vagliando così “in modo che non si aiuti improvvidamente, ma oculatamente dare soldi a chi farà buon uso del denaro agli altri vitto per chi si procacci lavoro con le proprie braccia strumenti”[31] come ad esempio dei telai per filare o consegna dei semilavorati e poi remunerare se fatto con “buona arte”[32].
Questa fondazione aveva come compito non solo la dazione del sussidio ma doveva instillare tre valori ai capifamiglia che spesso erano coloro che mandavano in rovina il patrimonio per vizi quali l’alcool, il gioco e le relazioni adulterine: l’amore per la fatica, per una vita sobria e nozioni di base economiche per prevedere a mo’ di bilancio familiare quanto sarebbe servito per il mantenimento detraendo il potenziale di lavoro per essere autosufficienti.
Questo permetteva di erogare dei biglietti-voucher ai parroci perché i poveri cui venivano concessi potessero spenderli consegnandoli nei negozi indicati o dedicati. Poi i negozianti avrebbero portato i biglietti per la riscossione ai deputati della commissione che teneva il registro delle famiglie dei poveri. Un’altra categoria sovvenzionata che desideriamo accennare erano gli studenti poveri ma sempre di buona condotta[33]: l’educazione ai valori precedeva l’aiuto conseguente come una sorta di affidabilità sull’impegno e sull’onore della persona.
Il sussidio era concesso generalmente per sei mesi rinnovabili di par tempo presentando la domanda al cardinale Presidente mediante i proprio parroco[34].
Tutto questo durò dal 1826 fino al 1870 e il Regno d’Italia ne prolungò l’utilizzo per il 1871, fonte da cui abbiamo tirato le fila di un reddito per i romani poveri per il loro reinserimento nella dignità di lavoratori che è giunto fino all’articolo 1 della Costituzione della Repubblica italiana “fondata sul lavoro”, appunto e tuttora vigente.
La cautela “politica” di ordine pubblico finì lì ma il principio di sovvenire e dare sostegno per far rientrare nel ciclo produttivo del paese le famiglie italiane passa anche per la cassa integrazione[35] venendo però a mancare quell’elemento morale (salvo nel contratto di solidarietà) che costitutiva il midollo automotivante in ogni persona che voleva e vuole ritrovare la dignità di far parte attiva del proprio paese per il suo bene e, quindi, anche proprio.
Terminiamo da dove iniziammo: il reddito di cittadinanza ha parenti lontanissimi e meno lontani nel Tempo della Storia, dal RDC leggiamo: “Ci sono i poveri e disagiati materialmente, quelli che per la loro stessa indigenza sono come inceppati in problemi di penosa sopravvivenza, sì che, assillati dall’urgenza del pane materiale, potrebbero trascurare di procurarsi il nutrimento dello spirito” [36]: anche per questi la chiesa missionaria propone testimoni, segni visibili mediante la coerenza della loro vita nel messaggio che propongono perché “La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo”[37] .
[1] Prodotto dall’Ufficio Catechistico nazionale nel 1970 e detto comunemente “Documento di base”, il “Rinnovamento della catechesi” fu un punto fermo del progetto catechistico italiano la cui validità fu confermata dalla “riconsegna ai catechisti italiani” nel 1988 con una Lettera dell’Episcopato italiano e nuovamente “imprintato” quaranta anni dopo dalla sua pubblicazione, nel 2010, dalla Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della C.E.I. con la “Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti”.
Cf. Decine le monografie sul tema, segnaliamo tra gli altri Redditanza. Il reddito di cittadinanza raccontato dai giornali e percepito dai cittadini, 2017 di N. Ferrigni e M. Spalletta e Nuove (e vecchie) povertà: quale risposta? Reddito d’inclusione, reddito di cittadinanza, e oltre, Fondazione Astrid a cura della Fondazione Rosselli, 2018.
[3] Editoriale di Leonardo Becchetti in Avvenire del 7 febbraio 2019
[4] Giovanni XXIII, Pacem in Terris, 1963 n.91
[5] Pubblicata l’otto giugno 1871, cf in Commentario e raccolta delle Leggi e decreti del Regno d’Italia Anno 1871, vol. XXI Torino 1871, a cura dell’Avv. E. Bellono pp. 112-113.
[6] Legge n.33 del 3 febbraio 1871 pubblicata il 4 febbraio, art. 1: “La città di Roma è la capitale del Regno” in Commentario e raccolta delle Leggi e decreti del Regno d’Italia Anno 1871 già compilato dall’Avvocato E. Bellono ampliato e proseguito da M. Bertetti e altri Avvocati pag.24.
[7] Chirografo del 27 febbraio 1826 del Card. Riario Sforza, Stabilimento d’una Commissione dei sussidi e istruzione per deputati parrocchiali.
[8] Cf. Papa Leone XII
[9] Bertetti, op. cit., pag. 112
[10] Ibid.
[11] Ivi pp. 112-113
[12] Cf. Editto del re Entemena di Lagas (2430 a.C.), in (a cura di M. Zappella, Le origine degli anni giubilari, Casale Monferrato 1998, pp. 11 e ss.
[13] Cf. C. Weber, panem et circenses, Milano 1989
[14] Papa Bergoglio è consapevole che la crescita delle diseguaglianze e delle povertà “mettono a rischio la democrazia inclusiva e partecipativa, la quale presuppone sempre un’economia e un mercato che non escludono e che siano equi”. Cf. discorso del 2 ottobre 2014 ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
[15] Cf. Istoria del Concilio di Trento del Cardinal Sforza Pallavicino, 1745 libro IX capo IX, pp. 418-422, 15 anche in Biblioteca Enciclopedica Italiana vol. XXIII, Milano 1884.
[16] Bertetti, op. cit., pag. 113
[17] Cf. Appendice della Raccolta leggi e disposizioni di pubblica amm.ne nello Stato Pontificio vol.VII – pubblica beneficenza, dicasteri e pubblici impiegati, militare. Roma 1833 Stamperia R.C.A. ad opera della segreteria per gli affari di Stato interni pp. 223-236.
[18] Cf. A. Blasi, Educare l’onesto cittadino e il buon cristiano: Bosco Giovanni,il cattolico italiano, il più italiano dei Santi, in Le radici Cristiane dell’Italia Unita, 2012, ed. Scripta Maneunt, pp. 194-225.
[19] C.Collodi, Le avventure di Pinocchio, Milano 2002, ediz. integrale capp. VIII, p. 44 e IX pp. 45-47.
[20] E liquidano con qualche breve cenno i moti del 1821 e quelli mazziniani del 1834.
[21] Cf. Appendice della Raccolta leggi e disposizioni di pubblica amm.ne nello Stato Pontificio vol.VII – pubblica beneficenza, dicasteri e pubblici impiegati, militare. Roma 1833 Stamperia R.C.A. ad opera della segreteria per gli affari di Stato interni p.224.
[22] Il 16 dicembre dello stesso 1826 diede l’organigramma definitivo mediante un cardinale presidente, 15 deputati in carica per 6 anni e la città divisa in dodici zone (congregazioni di carità) con i parroci, i deputati parrocchiali un medico e un chirurgo artt. 1 e ss. fino al §95.
[23] Cf. Op. cit., pag.225
[24] Ivi, Regolamento artt. 54-60 p. 244-245
[25] Il divieto di “accattare in Roma” era espresso nell’articolo 88 del Regolamento. Solo davanti alcune chiese era possibile elemosinare (articolo 89) ma avendo conferito i propri dati e ricevendo una espressa licenza. In altri luoghi seguiva l’immediato arresto ex articolo 90. Appendice. cit. pag. 249
[26] Op. cit., pag. 225. L’home work non è quindi una invenzione della contemporaneità.
[27] Solo il segretario del comitato di zona veniva remunerato in quanto doveva tenere i libri, stilare verbale, tenere i conti e i bilanci delle sovvenzioni.
[28] La gerarchia con cui sono elencati è emblematica del periodo storico e circa le dame ricordiamo i modelli delle origini del cristianesimo nelle figure delle Sante Galla, Lucina e Paola esempio di servizio ai poveri , concetto ripetuto come scrive Papa Francesco in Evangelii Gaudium parr.197, 207 e 218.
[29] L’articolo 68 del regolamento prevedeva che ogni individuo che usufruiva del sussidio era oggetto di controllo continuo e di verifica sull’utilizzo dei contributi e la verifica della sua buona condotta.
[30] Ogni parroco una volta al mese svolgeva una riunione per fare l’elenco degli aiuti e raccoglieva le notizie riservate circa l’età il numero dei componenti familiari, la patria, il tipo di occupazioni svolte in passato, il guadagno giornaliero, lo stato di salute e il costo dell’affitto.
[31] Op. cit., pag. 232
[32] Dietro cauzione del grezzo, in Op. cit, Appendice, pag.232
[33] Op. cit., Appendice, pag. 227
[34] Op. cit., Regolamento in Appendice, pag.246
[35] L’istituto fu introdotto con decreto legislativo il 12 agosto 1947, (n. 869), poi modificato e diventato legge 35
il 21 maggio del 1951 n. 498. Seguirono gli aggiornamenti con le leggi n. 164 del 1975 e n. 223 del 1991.
[36] Rinnovamento della catechesi §126
[37] Così Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 204