Perché la famiglia? Per una nuova filosofia della famiglia
Francesco Zini
Sommario: 1. La resilienza della famiglia alla prova della risemantizzazione – 2. Il sentiero della famiglia: il percorso del dono di sé – 3. La nascita della generatività coniugale – 4. Il futuro della famiglia di fronte alla sfida del post-umanesimo – 5. Conclusioni
1.La scelta familiare oggi appare come una “sfida” rispetto ai paradigmi individualistici e consumistici offerti dagli odierni modelli economici e culturali.
Lo scenario sociale in cui si colloca la scelta familiare appare difficile innanzitutto sul piano del contesto lavorativo, dove l’instabilità, il modello competitivo e la precarietà lavorativa mette a dura prova la stabilità familiare e personale.
In questo senso fare una famiglia, sposarsi e “avere dei figli”, appaiono “gesti eroici” destinati a scontrarsi con l’iperproduttivismo del mondo del lavoro o del contesto sociale e paradossalmente a divenire un “ostacolo” per la propria realizzazione personale (e in questo senso destinati al fallimento o alla marginalità, se non addirittura alla povertà). Ma è proprio dalla scelta familiare, compiuta da veri e propri “eroi familiari”, che può ripartire una nuova socialità familiare che spinge il significato della famiglia oltre il mero benessere materiale, affrontando la paura e il rischio insito nell’ “avventura della famiglia”: uscire da se stessi e aprirsi all’altro per costruire una relazione fiduciaria in cui si scambiano i doni reciproci e “si cresce insieme” verso un comune fine di senso: la “generatività”.
Questa dinamica familiare appare decisiva per la formazione della famiglia nel matrimonio, non solo come accordo per la condivisione di interessi o di valori, ma come reciproco sostegno verso la comunione spirituale.
C’è una forte domanda metafisica dietro una scelta familiare, di andare oltre la contingenza e la fragilità umana e sociale. Da questa domanda “forte” di senso dell’essere e dell’esistenza, che chiede una risposta forte, può ripartire non solo l’idea o la proposta della comunione familiare, ma la testimonianza concreta della famiglia come forma di anticipazione di un’altra comunione di unità universale.
Da questa “voglia di unità” e di “comunione oltre la divisione”, parte la resilienza familiare come percorso verso la “nascita” della famiglia, come esperienza “meravigliosa e straordinaria” per la crescita e la maturazione dell’individuo, che vuole viversi la sua condizione di esserci “fino in fondo”, dando tutto e donando tutto se stesso [1].
2.Se si analizzano brevemente i percorsi della formazione della famiglia è possibile individuare alcuni “passi della famiglia”. In senso contrario il percorso appare accidentato e frammentato da situazioni e contingenze che passano attraverso il deserto della solitudine narcisistica in cui l’altro (inteso come amico, compagno, collega), è un interesse da consumare per la soddisfazione dei propri bisogni contingenti (ambizione, potere, carriera, tempo), fino a giungere verso una chiamata ulteriore, un livello diverso, verso l’uscita da sé, alla scoperta dell’altro come “qualcuno di interessante”, che ha qualcosa “da dare”, perché porta con sé un “dono”: ha qualcosa di “suo”, che quella persona non ha, qualcosa di particolare e unico, che vuole indagare, conoscere, condividere, comunicare.
La scoperta di sé è la fuoriuscita dal proprio narcisismo: la fiducia e l’aiuto nell’altro. Il primo passo è la fuoriuscita dall’egolatria con la scoperta del “tesoro” dell’altro. L’altro interessa perché il soggetto trova fuori di sé qualcosa e qualcuno che lo completa: il soggetto-individuo esce da sé, perché nutre l’interesse verso qualcosa che l’altro ha nel suo essere, nelle parole che dice, nei gesti che compie, nella storia che ha da raccontare. Cominciano ad interessare le sua esperienze, la sua vita, i suoi fallimenti, le sue narrazioni, i suoi gesti. La relazione nasce dall’attrazione per l’altro da sé, perché ha qualcosa da donare, che rende la vita personale “migliore”, nel senso che l’altro fa essere la persona se stessa.
Dal dono del tesoro, dal greco ϑησανρός, thesaurus, che significa “magazzino”, nasce la scelta della condivisione, nella modalità dell’accoglienza. La persona comincia a donare se stessa, a parlare, a cercare l’altro a cui trasmettere i suoi ricordi, le sue emozioni, a spiegargli ciò che ha capito, a comunicare con lui, a stabilire un contatto, una frequentazione, una possibile relazione fondata sulla condivisione e la fiducia reciproca.
3.Inizia nella relazione interpersonale ciò che sarà costitutivo della con-fidenza coniugale: l’altro condivide con l’altro-da-sé un’intimità profonda, una comune nascita, una comune origine, un comune dono della vita, un comune destino. Allora nasce un’esigenza di unirsi per vivere il tempo della vita trascorsa “insieme”: insieme saranno più forti, più veri, più uomo e più donna. Da tale consapevolezza nasce la generatività coniugale: quei due che non bastano più a sé stessi, sono pronti alla generazione, alla pro-creazione di un altro-da-sé (loro). La scelta dell’unione coniugale come vocazione è la chiamata alla famiglia naturale e all’amore generativo. Il matrimonio “arriva” non tanto come scelta individuale, ma come naturale continuazione del dono reciproco pro-creativo, come “fonte di unione e di crescita insieme”. Nel matrimonio generativo il marito aiuta la moglie a essere donna e il marito a essere uomo, nella cura dell’altro, ma soprattutto facendo emergere le proprie debolezze, i difetti, le abitudini, i “nascondigli”, le auto-assoluzioni, gli orgogli, i sensi di colpa, le zone grigie dove ognuno nasconde i propri dubbi, i propri difetti, le passioni, le incongruenze. Col matrimonio l’altro si deve de-nudare all’altro, mettendolo “con le spalle al muro” delle proprie fragilità e debolezze. L’altro deve dire tutto di sé, nessuna zona grigia nascosta per pudore o vergogna: la relazione deve essere totale, come il dovere di dire tutto all’altro (i sogni, le speranze, le paure, le ansie, i cambiamenti, le ambizioni, le aspettative). Tale esercizio coniugale costituisce il fondamento per la crescita familiare.
Più si nasconde e più il matrimonio sarà fragile, più non ci si de-nuda di fronte all’altro, più crescono le diffidenze, le falsità, le ipocrisie, le stanche e noiose abitudini e infine prevale l’astio, le incomprensioni continue, il distacco, la freddezza, il disinteresse, la divisione. L’altro diviene un ostacolo, non soddisfa le esigenze, non aiuta a realizzarsi come persona, “non accontenta più” le esigenze più profonde: diviene un problema da rimuovere perché non serve più. La degradazione coniugale spezza quel legame, rompendo la “catena del dono”. L’altro non dona più, si esaurisce la sua linfa, “non dice più niente”, non cresce più il suo dono, non interessa più.
Perciò il “fare famiglia” costituisce una sfida per alimentare continuamente questa catena del dono, questa cerniera comunicativa, che solo a partire dalla constatazione naturale del dono può conservare la logica coniugale e familiare. L’altro deve ritrovare il suo dono per cui è stato chiamato al mondo, perché ognuno ha una mission donativa: qual è il dono dell’altro? L’altro ha il dovere di scoprirlo dentro se stesso e poi trovare la persona con cui condividerlo e “accrescerlo”. Questo è il sentiero del dono del matrimonio o più semplicemente della felicità familiare. Il dono coniugale è faticoso e chiede impegno, sorprese, attenzioni, novità, scelte coraggiose, inaspettate, meravigliose, che riflettano l’originale dono della vita stessa.
I doni interpersonali che i coniugi sono chiamati a fare nel corso della vita “devono” rispecchiare quel “primo dono” della loro nascita, della loro “venuta alla luce”, della loro fuoriuscita nella vita: inaspettatamente, incredibilmente e liberamente (nessuno sceglie di nascere).
Perciò nella vita coniugale non si tratta di aggiungere qualcosa, ma a volte di togliere, di fare spazio, di aprirsi all’altro: fare il vuoto così da permettere di essere riempito dal dono dell’altro. La generatività modifica la vita coniugale immettendo al suo interno un seme di nuova vita. I figli costituiscono essenzialmente un atto di umiltà e di pazienza perché sono creature, altro-da-sé, spesso migliori di te. Da un certo punto di vista arrivano per “destabilizzare” le proprie precarie convinzioni consolidate, le proprie abitudini, per costringere a cambiare, a crescere, ad aprirsi ad una nuova realtà. Per questo i figli sono una “prova” di elasticità mentale e di morbidezza: più sei aperto a raccogliere questa nuova avventura e più sorprenderanno per ciò che hanno da portare di nuovo nel mondo. La famiglia diventa allora una semplice testimonianza dell’amore divino: l’amore coniugale riflette l’impegno della creazione con nuove creature disposte ad aumentare l’amore per la conoscenza, per una società più giusta, con una nuova e originale empatia per gli altri. Tale “slancio generativo” supera anche i condizionamenti della superficialità della vita quotidiana in cui non si condividono che le spese o gli impegni formali, senza andare oltre alla materialità dell’organizzazione della vita che pure è decisiva e importante per crescere nella relazione.
4.Certamente il contesto sociale in cui si inserisce la scelta familiare può essere promosso con una revisione del modello sociale ed economico che prediliga la persona, i tempi della famiglia, la crescita demografica e la famiglia intesa come bene comune. Le misure a sostegno della famiglia appaiono insufficienti e insoddisfacenti: c’è bisogno dell’inserimento di concreti strumenti in termini di aiuti economici, previdenziali e fiscali, che potrebbero rendere la scelta familiare “conveniente”, perché realizza fini di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale e verticale inseriti in un più complessivo riconoscimento pubblico del ruolo della famiglia come bene sociale.
Ma la questione che sta emergendo appare più antropologica e richiama la c.d. “guerra mondiale contro il matrimonio” affermata da Papa Francesco[2], combattuta soprattutto da colonizzazioni ideologiche che promuovono la dissoluzione della famiglia come presupposto per l’ingresso in un nuova era (new age) in cui non ci sarà più bisogno della famiglia, (come del maschile e del femminile stereotipati), né del “vecchio” uomo, perché ci sarà una sorta di post-uomo, frutto di una continua sintesi di ibridazione uomo/macchina (cyborg, robot, androidi).
Da questo contesto post-umanista deriva anche la c.d. “resilienza” familiare versus il modello proposto dal post-umanesimo di un poli-amore indefinito: la famiglia diviene oggetto della prova della struttura familiare. L’esercizio al dono, vissuta non come limite, ma come opportunità di crescita, diviene banco di prova dell’esistenza stessa della famiglia. Lo stesso legame monogamico su cui si fonda la fedeltà coniugale deve essere provato e giustificato[3].
Solo se il limite diventa “dono”, oblazione, allora c’è crescita e disponibilità al cambiamento. Ma ognuno deve esercitarsi a fare la sua parte innanzitutto con se stesso, stimolando e accrescendo i propri tesori e le proprie qualità.
5.In tale contesto post-secolarizzato proiettato verso il superamento dei limiti funzionali, incentrato sull’implementazione delle prestazioni fisiche, teso alla costruzione del trans-uomo “perfetto” e implementato nelle sue capacità sensoriali e di visione della realtà aumentata, la dimensione familiare appare evidentemente una “prova” e un fenomeno che qualcuno vorrebbe considerare un ostacolo da rimuovere o da costruire sinteticamente laddove l’artificialità scientista permetterà di procreare selettivamente. Ma tale ideologia tecno-ottimistica ed evolutiva produrrà inevitabilmente i suoi fallimenti, perché potrebbe generare continue disillusioni e incapacità ad elaborare soluzioni totalizzanti ai problemi esistenziali, a cominciare dalle grandi domande fondamentali (ontologiche) sulla morte e sul senso della vita.
Allora la famiglia che si fonda su un “amore verticale” triadico, dovrà testimoniare un legame ulteriore fondato sul vero superamento del limite, sul “per sempre”: tale proposta apparirà una sfida “dirompente” a tale prospettiva post-umanista, perché opporrà alla contingenza nichilistica dell’esperienza materiale, sempre insoddisfacente perché sintetica e artificiale , una speranza di vita (familiare) che non muore. Il dono della famiglia comunicherà che “c’è una relazione che continua e che resiste”, un amore “soddisfatto” perché “torna da dove è venuto ri-generato”. Questo è il “segreto” contenuto nel tesoro della famiglia che proviene dalla stessa Sacra Famiglia[4].
Perciò la crescita familiare, la natalità, la nuova vita, la nuova adozione di un figlio e il nuovo affido intergenerazionale costituiranno testimonianze conseguenti alla sfida del post-umanesimo narcisistico, verso un “nuovo umanesimo trascendente” della famiglia.
[1] Per approfondire gli aspetti della filosofia della famiglia che verranno trattati cfr. P. Donati, Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari, 2006; L. Cadei, Riconoscere la famiglia, Unicopli, Milano, 2010; Chovelon B. e B., L’avventura del matrimonio, Edizioni Qiqajon, 2004; F. D’Agostino, La famiglia: un bene insostituibile, Cantagalli, Siena 2008;F. D’Agostino, Una filosofia della famiglia ,Giuffré, Milano, 2003; T. Godbout, Il linguaggio del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1998; X. Lacroix, Passatori di vita. Saggio sulla paternità, EDB, Bologna, 2005; R. Maurizio, F. Belletti, La prossimità tra famiglie, Fondazione Zancan, Padova 2006; C. Sità, Il sostegno alla genitorialità. Analisi dei modelli di intervento e prospettive educative, La Scuola, Brescia, 2005; P. Triani (a cura di), Educare, impegno di tutti, AVE, Roma, 2010; C. Vigna, S. Zanardo, La regola d’oro come etica universale, Vita e Pensiero, Milano, 2005; F. Zini, Il dono nella prospettiva della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2007; F. Zini, Dare tutto, donare tutto. Saggio sul fondamento ontologico della donazione, Edizioni Accademiche Italiane, 2016.
[2]http://it.radiovaticana.va/news/2016/10/01/papa_in_georgia_c%C3%A8_guerra_mondiale_contro_il_matrimonio/1262189
[3]> Le domande giustificative divengono incessanti e coinvolgono tutti gli aspetti familiari: perché essere fedeli a uno, quando ognuno può dare qualcosa di interessante per la crescita soggettiva? Perché in quell’uno “si deve trovare tutto”, se quell’uno è abituato e non si è esercitato a “dare tutto”? Perché durare fatica con quella persona? Perché sacrificarsi per quell’unione? Perché limitarsi con una sola persona? Perché accontentarsi? Tali domande chiedono risposte forti e cammini profondi di crescita personale.
[4] Si veda la relazione di N. Galantino, L’attualità del personalismo rosminiano nel contesto del postumanesimo (Simposio Rosminiano – Stresa, 28 Agosto 2014), https://www.chiesacattolica.it/la-sfida-della-trascendenza/