“Possiamo disporre di un unico concetto di dignità che protegga l’uomo allo stesso modo a partire dal concepimento e fin dopo la sua morte? Oppure non resta che ripiegare – tentazione oggi frequente – sul concetto di dignità della persona, riferendosi con questa espressione a quel gruppo più ristretto di esseri umani in possesso attuale ed effettivo delle caratteristiche che contraddistinguono solo gli esseri umani adulti e sani di mente?”
P. Becchi, Cos’è la bioetica. Temi e problemi, Giappichelli, Torino, 2019
Claudio Sartea
“Possiamo disporre di un unico concetto di dignità che protegga l’uomo allo stesso modo a partire dal concepimento e fin dopo la sua morte? Oppure non resta che ripiegare – tentazione oggi frequente – sul concetto di dignità della persona, riferendosi con questa espressione a quel gruppo più ristretto di esseri umani in possesso attuale ed effettivo delle caratteristiche che contraddistinguono solo gli esseri umani adulti e sani di mente?” (pp. 38 e s.).
Con la capacità di sintesi e penetrazione che solo un bioeticista di razza può raggiungere, Paolo Becchi pone questa domanda all’inizio del densissimo percorso svolto nelle pagine di questo libro, agile quanto abile nel presentare praticamente tutti i grandi “temi e problemi” della bioetica contemporanea e del dibattito culturale che inevitabilmente l’accompagna. Perciò il titolo, anche se ossimorico perché dopo la domanda amplissima e di sintesi del titolo pone un sottotitolo analitico, è puntuale e completo nel descrivere i contenuti di questo volumetto apparso nella collana Multiversum di Giappichelli, e che si segnala e raccomanda per un approccio introduttivo ma non superficiale alla bioetica.
Becchi riesce, in centoundici pagine (a cui si aggiungono ben dodici pagine di riferimenti bibliografici, utilissimi a chi desideri approfondire sia i profili generali che alcune tematiche specifiche), a riassumere lo stato dell’arte della riflessione bioetica, sia sul piano dei contenuti (almeno, di quelli più caratteristici e più vicini all’attenzione collettiva, che costituisce parte importante del nuovo sapere), sia sul piano del dibattito – con qualche troppo generosa indulgenza a schemi magari superati o comunque discutibili, come la contrapposizione tra “bioetica cattolica” e “bioetica laica”, che peraltro serve all’autore per proporre una propria autonoma collocazione nella linea della dignità umana come principio bioetico di sintesi.
Basta ripercorrere il sommario per cogliere la sapienza dello sguardo autorale: il primo capitolo, dopo l’introduzione, è dedicato ad un profilo chiave dell’intero dibattito, che lo attraversa trasversalmente ed ancora non ha trovato, dopo tanti decenni di dibattito a più livelli, un’adeguata semantica; la relazione tra il paziente ed il medico, in effetti, è la scaturigine di ogni successiva questione, ma non si è ancora riusciti, nonostante la sua centralità e l’impegno comune, non solo a darne un’opportuna quanto necessaria qualificazione giuridica, con la nervosa sequenza di leggi e decreti accompagnata da una altrettanto irrazionale giurisprudenza, le pericolose oscillazioni tra una iperresponsabillizzazione medica che genera la reazione della medicina difensiva ed ammala tutto il sistema, ed un’esaltazione impropria dell’autodeterminazione del paziente, che inquina di soggettivismo il servizio sanitario ed il senso stesso dell’azione clinica. Vi è poi il capitolo dedicato al confronto tra sacralità e qualità della vita, tra orientamenti cosiddetti oggettivistici ed orientamenti soggettivistici, che riecheggia, almeno in parte, la già menzionata divisività dell’alternativa tra bioetica laica e cattolica.
I due successivi capitoli presentano, senza poterli molto approfondire ma mettendo sul tappeto tutte le principali questioni ed anche l’anima dei singoli dibattiti su ciascuna di esse, la bioetica di inizio vita e la bioetica di fine vita. Vi è poi una riflessione che estende la portata della bioetica fino alle questioni ambientali ed animali, e prima delle conclusioni (che vedremo di seguito perché sono forse la parte più personale del volumetto di Becchi), un’interessante spiegazione della naturale espansione della bioetica verso il biodiritto (o, come preferiamo dire, della biogiuridica): “I giuristi – osserva condivisibilmente l’autore – dovrebbero interrogarsi sulle possibilità offerte oggi dal progresso tecnologico, senza limitarsi ad accettarle e legittimarle” (p. 96).
Nelle conclusioni, Becchi procede a partire da un’affermazione che va sottoscritta senza esitazione: “Come di fronte agli sviluppi inquietanti delle biotecnologie l’idea di una scienza neutrale rispetto ai valori è diventata – come si è visto – alquanto problematica, allo stesso modo uno Stato non può rimanere ‘neutrale’ rispetto ad alcuni principi” (p. 107). Consapevole del pluralismo morale che contraddistingue la nostra epoca, e sensibile all’appello ad un modo “leggero” di intervento statale, l’autore presenta la dignità umana come “sintesi tra l’autodeterminazione individuale e l’indisponibilità della vita”, un concetto normativo, in altri termini, idoneo a dirimere o almeno sbloccare la contrapposizione rigida ed inconcludente tra bioetica della qualità e bioetica della sacralità della vita. Anche così, prosegue Becchi, occorre però specificare di volta in volta la “forma” di dignità che in ciascuna fase particolare della vita va riconosciuta all’essere umano. “Se è vero infatti che la dignità intrinseca all’uomo ci obbliga a trattare tutte queste situazioni con rispetto, è altresì vero che l’obbligazione assume significati di volta in volta diversi a seconda della concreta situazione esistenziale che ci troviamo ad affrontare” (p. 110). Se non si trattasse di conclusioni, sarebbe interessante poter proseguire il dialogo con questo Autore onde avere chiarificazioni ed esempi su questo punto (senza dover rivolgersi al più ampio studio monografico, a cui egli stesso rimanda, apparso nel 2009 e riedito nel 2013 per i tipi di Morcelliana ed intitolato Il principio dignità umana): purtroppo, nell’ultima pagina c’è solo lo spazio per un esempio che, a parere di chi scrive, confonde invece le cose, ed anzi addossa al criterio individuato e proposto da Becchi la responsabilità di conseguenze forse molto lontane da quelle che lui ha immaginato. L’esempio riguarda un caso di eutanasia attiva, e nell’affrontarlo vengono intersecate le prospettive (nell’ipotesi di Becchi, conflittuali) di bioetica e biodiritto: “Se sotto il profilo morale in particolari circostanze potrebbe persino essere ritenuta lecita l’eutanasia attiva, sotto il profilo giuridico il legislatore potrebbe tuttavia decidere di non legalizzare (o vietare) quella pratica per continuare a tutelare la professione del medico ed il suo ruolo nella società” (p. 111). Nella risposta al caso etico, il ricorso alla doppia verità (quella dell’etica contrastante con quella del diritto, per di più mescolate con le esigenza della deontologia professionale dei sanitari), impedisce in realtà all’esempio di chiarire i contorni dell’applicazione del criterio (o principio, come preferisce dire Becchi) dignità umana: esso così appare o inutile, o insufficiente, o limitato ad una sfera (quella etica, o quella giuridica) e non esportabile nell’altra. Ma in tal modo rimane insoluto il quesito da cui si era partiti, e la stessa proposta di fondo s’indebolisce sul piano sia ermeneutico sia euristico, almeno nei ristretti spazi
del volume in recensione.
In magnis voluisse satis, dicevano gli antichi. Forse almeno questo occorre ricordare, tenuto conto che a dispetto delle ridotte dimensioni dell’opera, questo libro di Paolo Becchi ha enormi pregi sia sul piano didattico che sul piano scientifico, ed arriva come sintesi gradita e profittevole di decenni di riflessione e di discussione bioetica originale.