This paper concerns research on the significance and extent of concepts of freedom of religion and freedom of thought in the Italian and European contexts. The goal is to establish whether there is a proper balance, in Europe and in representative democracy countries, between the religious and cultural identity of peoples and their freedom of conscience and their freedom to manifest their religious thought.

The research involves analysis of the regulations of the European Treaties, seeking to establish in what way application of these regulations has permitted all European citizens to profess their Religion and to see application of the prohibition to discriminate for religious reasons. 

Freedom of religion has been recognized in diverse ways, conditioned by the social and legal reality of the various countries.

Even regulatory choices, both internal to the single Countries and coming from customary and conventional international law, have influenced the exercise of these freedoms (see for exemple, the incidence of TFUE  art. 17).

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Laicità, libertà religiosa, confessioni religiose, in Italia e nel sistema dell’Unione Europea, coerenti presidi di tutela dei diritti umani.

Cesare Augusto Placanica

SOMMARIO: 1.Premessa; 2. La laicità; 2a) il concetto storico filosofico;  -2b) la laicità dell’Unione Europea; 2c) la laicità in Italia; 3. La libertà religiosa;  4. Le Confessioni religiose;  5. I Trattati Europei e le Organizzazioni religiose;  6. Conclusioni. 

1.Nella precedente legislatura del Parlamento Italiano, sono state presentate due proposte di legge recanti disposizioni in materia di istituzione del registro pubblico delle moschee e dell’albo nazionale degli imam (c. 2976 Garero Santachè e c.3421).

La previsione di  disposizioni, che intendevano sottoporre a condizioni o restrizioni la libertà religiosa è stata criticata, da alcuni commentatori, perché la Costituzione Italiana  non consente, in relazione a questo diritto, altro che i limiti generali previsti dalla legge per ogni attività di tipo sociale, mentre non sarebbero consentiti quelli particolari previsti da questo articolato [1].

Inoltre è stata presentata la proposta di legge 387 del 2018,  che reca “Disposizioni concernenti l’esposizione del Crocefisso nelle scuole e nelle pubbliche Amministrazioni”. La religione è oggetto di costante interesse del legislatore. Pertanto non hanno trovato attuazione, nella società italiana ed europea, le politiche di secolarizzazione che avevano animato il dibattito politico e culturale in Occidente negli ultimi due secoli e che miravano alla marginalizzazione della stessa. Alla luce dei grandi fenomeni socio-politici che hanno interessato i paesi occidentali, in particolare l’immigrazione e il terrorismo internazionale e del problema della costruzione di una cittadinanza condivisa, tra i popoli della Unione Europea, la fede religiosa, rappresenta, sicuro supporto delle coscienze individuali, per la partecipazione alla comunità sociale e per la costruzione identitaria , essendo custode e di valori morali e di tradizioni civili, che si incontrano nei luoghi di aggregazione istituzionale  o personale (come la famiglia)[2].

Il presente scritto intende indagare le forme di manifestazione della fede religiosa e nella società Italiana e in quella Europea, mediante l’analisi dei principi di laicità, libertà religiosa, del loro rilievo,  attraverso il fenomeno delle Confessioni religiose, nonché alla luce delle norme del Trattato di Lisbona rilevanti nella subiecta materia, cercando di sottolinearne  la valenza giuridica e politica.

2.

2a.E’ stato evidenziato [3]che l’idea di laicità costituisce un aspetto originale della storia europea, poiché coinvolge profili diversi e filosofici e giuridici e politici.  Concerne i rapporti tra lo Stato e la Chiesa e quelli tra pubblici poteri e cittadini a riguardo di alcuni fondamentali diritti e libertà. Gli elementi che la caratterizzano, sono costituiti dalla autonomia dello Stato verso le Chiese, la libertà religiosa e il pluralismo confessionale. Si tratta di esaminare il principio nei due ambiti : quello Europeo e quello Nazionale

E’ noto che fu Lutero che si pose, per primo in Europa, la questione del rapporto tra la Chiesa e il nuovo potere politico, costituito dai principi e formulò la teoria dei due regni quello celeste e quello mondano, chiamati a mantenere tra loro la separazione[4].

Tra il XVII e il XVIII cominciò ad essere elaborato, nella dottrina filosofica e costituzionalistica il concetto di laicità. In seguito alla rottura dell’unità cristiana medievale si pose il problema di ridefinire il fenomeno religioso,  regolamentando la relazione tra il potere politico e le credenze religiose. Potevano esser adottate, almeno teoricamente tre strategie. Quella erastianista, per la quale la politica e lo Stato dovevano estendere la loro forza e il loro potere alla religione. Quella giurisdizionalista, secondo la quale vi doveva esser una subordinazione della  sfera religiosa rispetto a quella politica. Quella separatista per la quale lo Stato riconosce libertà al potere religioso che la esercita nell’ambito delle leggi.

2b.La questione dell’identità dell’Europa è una questione recente.  Si è posta con i Trattati Fondativi e delle Comunità Europee e dell’Unione Europea. Avevano un carattere enfatico, soprattutto perché intendevano la nuova organizzazione internazionale, come un sodalizio politico e sociale e la sua identità era considerata alla luce dell’idea dell’Europa, che si era venuta formando nel tempo, specialmente per la necessità di liberare il vecchio continente, dall’incubo della guerra.  Guardavano alla religione, come elemento di differenziazione nel rispetto delle singole identità nazionali. Non si faceva riferimento, né alle radici culturali comuni dell’Europa, né alla libertà religiosa, né si proclamava il principio di laicità. Nel preambolo del Trattato di Lisbona si rimanda “alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza e dello stato di diritto”. Lo stesso documento internazionale è espressivo della volontà di considerare il fattore religioso, come uno dei tanti apporti necessari, per il progresso della costruzione europea, anche per non conferire una posizione particolare, a favore di uno specifico orientamento ideale o spirituale. Già il Trattato di Roma poteva definirsi laico, sia pure di una laicità per astensione o istituzionale. Mirava ad assicurare la neutralità dell’autorità pubblica, ma al contempo, si preoccupava del riconoscimento delle Chiese, dei diritti  delle famiglie, garantendosi protezione al fattore religioso [5].  Manca dunque un richiamo esplicito alle radici Giudaico Cristiane del nostro continente, ciò forse, per non ledere il principio di laicità, e per consentire ad ognuno la professione dei convincimenti ideali in cui si identifica.

E’ vero però che, per effetto della tutela dei diritti fondamentali, all’interno dell’ordinamento dell’Unione (grazie all’art. 6 del TUE e pertanto della avvenuta costituzionalizzazione della Carta dei diritti fondamentali della UE, nonché per l’influenza sul diritto eurounitario della Convenzione Europea dei diritti umani), nonché della Giurisprudenza delle Corti Europee, il rapporto tra il diritto europeo e il fenomeno religioso si è evoluto [6].

Si è venuta realizzando, da parte delle Corti, una attività giurisdizionale che ha favorito il processo di integrazione, valorizzando la costruzione dell’Europa dei cittadini, anche come reazione all’originario deficit democratico e di legittimazione della Comunità Europea. Sul piano normativo già col Trattato di Maastricht, si era iniziato un percorso di avvicinamento, delle istituzioni Europee ai cittadini che si è completato con l’adozione del Trattato di Lisbona. Costruendosi una nuova identità collettiva si sono creati i presupposti per una ripresa del percorso di integrazione tra i popoli  implementando la democrazia rappresentativa (art. 10.1 TUE) e il diritto di ogni europeo alla condivisione della vita democratica dell’Unione (art. 10.3 TUE). Secondo alcuni commentatori vi sarebbe una contraddizione tra la volontà di costruire una unione tra i popoli europei e la mancanza di una politica unitaria, rispetto al fenomeno religioso. E’ stato però ribadito che la particolare laicità, che qui si riscontra, non escluderebbe il riconoscimento del valore delle Chiese, della libertà religiosa individuale dei diritti spirituali, delle famiglie ma anzi:

 “estenderebbe la protezione dei pubblici poteri a tutela del fattore religioso genericamente considerato ma non richiederebbe loro di operare attivamente per la neutralizzazione di questo fattore destinato a convivere con tanti altri apporti ideali” [7].

2c. Una ricostruzione attenta al dettato normativo, ma non scevra dall’analisi delle implicazioni etico morali del concetto di cui discutiamo, è quella del Prof. Giuseppe Dalla Torre [8]. L’Autore ricorda che la Costituzione Italiana non contiene una disposizione che qualifica lo Stato, dal punto di vista religioso e che per la sentenza n. 203 del 1989 della Corte Costituzionale, il principio di laicità, emerge da una serie di disposizioni della Carta (art. 2,3,7,8,19,20). Implica “non indifferenza dello Stato  dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di Religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.  (così la sentenza).

Il principio di laicità, così ricostruisce l’ autore, è  per la Corte uno dei “principi supremi” dell’ordinamento costituzionale, e si distingue da altre declinazioni presenti in altri ordinamenti. Ma quali sono le caratteristiche della laicità in Italia, desumibili dalle norme costituzionali [9]. Da un lato l’idea di sovranità, che non svincola lo Stato dal riferimento all’etica naturale.Rifugge ogni forma di giurisdizionalismo confessionista o aconfessionista, ma è affermazione di una incompetenza dello Stato nell’ordine religioso (art. 7 Cost.), da cui discende una sovranità relativa, tanto nella dimensione orizzontale quanto in quella verticale. Necessità di obbedire a norme etico giuridiche, che preesistono all’ordinamento positivo (vedi art. 2 Cost. tutela dei diritti umani e fondamentali e art. 29 Cost., riconoscimento della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio). Dall’altro “favor religionis”, nel quale lo Stato è imparziale, avanti alle varie opzioni del fatto religioso, da intendere quale orientamento dell’ordinamento, caratterizzato dal considerare i suoi valori,  positivamente e quindi degni di protezione giuridica. La religione è fenomeno positivo per l’elevazione dell’individuo e per l’alimentazione etica del corpo sociale, necessaria in uno Stato democratico. E’ dunque, da favorire e proteggere, collettivamente e individualmente [10]. Lo stesso autore in uno scritto più recente [11] afferma, che si continui a fare una gran confusione tra sfera pubblica e sfera politica, che invece vanno correttamente distinte. Nella sfera pubblica che è quella della società civile, tutte le identità debbono poter entrare; tutte le credenze debbono potere essere presenti,  tutte le convinzioni debbono poter essere espresse. E ancora “il fatto religioso è per sua natura un fatto di rilevanza pubblica,  il diritto di libertà religiosa individuale, collettiva, istituzionale, ha come sua dimensione naturale la pubblica piazza. [12] Dunque la sfera pubblica, cioè quella in cui vive e si esprime la società, non è e non può né deve essere laica. Diversa la sfera politica, che è il regno del confronto, del compromesso, dell’acquisizione dei consensi, attraverso argomentazioni di carattere puramente razionale, della volontà dei più, che alla fine, in democrazia, si impone su quella dei meno. In questo ambito  sono le istituzioni della polis, che in una società pluralistica, non possono che esser ispirate, nel loro agire, a criteri di imparzialità.

Altri ha osservato, a proposito della laicità delineata dalla Corte Costituzionale, che questa indichi un concetto di separazione-cooperazione tra lo Stato e la Chiesa [13]. Inoltre nella Costituzione è possibile individuare il piano della libertà di coscienza (da intendere in forma negativa, tutelata dall’art. 19 Cost.) e quella del divieto di discriminazione, per motivi religiosi in forza del principio di uguaglianza formale (art. 3 comma 1), nonché la considerazione dei culti come istituzioni. Secondo questa  interpretazione, relativa al profilo organizzativo e istituzionale delle religioni, assistiamo ad una posizione preminente della Chiesa Cattolica, nonostante la estensione del principio di bilateralità alle Confessioni  religiose diverse, garantite come ugualmente libere davanti alla legge. La stessa sentenza n. 203 e altre coeve e successive della Corte sono state criticate perché in esse si prendono le distanze da una concezione del fenomeno religioso, quale elemento correlato alla sfera  “del privato”, anzi si disegna quello di “laicità positiva” di una buona laicità [14].

3.

La garanzia dell’esercizio della fede costituisce il fondamento di tutte le altre libertà civili [15]. La tutela di quella religiosa assicura innanzitutto il pluralismo  e la democrazia ed è importante per i credenti e i non credenti. L’autore che ho citato (in nota 2) afferma che “in sostanza da una libertà intesa come propria dei soli credenti si è passati a una libertà in materia religiosa, che ricomprende anche la scelta del non credente e ne tutela l’incomprimibile libertà di coscienza”. Il suo riconoscimento si ritrova sia nella Costituzione Italiana che nelle Carte Europee. In Italia è stato  considerato, già in sede di revisione del Concordato lateranense del 1984 ; nell’Accordo relativo, si è voluto far riferimento e giuridicizzare i principi del Concilio Vaticano Secondo, e in particolare la Costituzione Pastorale Gaudium et spes, ove si afferma, in relazione alla missione universale della Chiesa che:

  “sempre e dovunque e con vera libertà è suo diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime”.

 Il suo esercizio concerne la tutela dei diritti fondamentali. La sua garanzia è  prevista dall’art. 9 della: “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, che impegna tutti gli stati aderenti al Consiglio d’Europa al suo rispetto. Costituisce elemento di integrazione culturale dei popoli europei, poiché  la sua attuazione nella società ha consentito di superare posizioni ideologiche che guardavano in modo negativo alla fede religiosa e in particolare a quella di matrice cristiana, generando aspri conflitti ideologici e guerre di religione. L’ ampiezza del diritto si è evoluta, essendo oggi garantito dalle legislazioni europee, non solo  ai cittadini ma anche ai non cittadini. Inoltre il suo contenuto si è espanso anche per la circostanza che, attraverso la sua implementazione, gli Enti e le Comunità ecclesiastiche, le Confessioni religiose, sono intervenute negli ambiti più vari dello Stato sociale. Nella dimensione europea, attraverso il suo esercizio, si è consentita la partecipazione dei cittadini alle attività che garantiscono il benessere dell’uomo, come le attività previdenziali, sanitarie, scolastiche, del tempo libero e sanitarie. Come afferma Paolo Cavana nello scritto citato:

 “insegnamento religioso nella scuola pubblica, rilevanza civile del matrimonio religioso, agevolazioni per l’edilizia di culto, riconoscimento civile degli enti ecclesiastici, forme di finanziamento pubblico alle confessioni volte a soddisfare le esigenze religiose della popolazione, assistenza spirituale nelle strutture segreganti della Pubblica Amministrazione (forze armate e di polizia, ospedali, case di cura, istituti di detenzione), oggi anche il rispetto di regimi alimentari e di alcune festività religiose : sono tutti ambiti ove le legislazioni europee, per lo più attraverso Concordati o intese e altre forme di accordi con le confessioni religiose, ma anche attraverso il ricorso al diritto comune, assicurano in concreto e favoriscono l’esercizio delle libertà religiosa”.(v. nota 2)

Nel sistema italiano  la tutela della libertà religiosa è incentrata su tre livelli. Il primo è costituito dagli art. 19 e 20 della Costituzione che garantiscono il suo l’esercizio in forma individuale o associata, la regolamentazione a mezzo del diritto comune degli enti non lucrativi aventi fine religioso o carattere ecclesiastico, anche se non riconosciuti come Confessioni religiose. Inoltre l’art. 8 primo e secondo comma della Costituzione, appresta alle stesse una ampia protezione, assicurando loro, l’uguale libertà davanti alla legge. Alle Confessioni diverse dalla cattolica viene concesso “il diritto di organizzarsi secondo propri statuti in quanto non contrastino con l’ordinamento italiano”, da intendersi questa espressione come riferita “solo ai principi fondamentali dell’ordinamento stesso e  non anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative” e in relazione ai soli profili organizzativi  e non a quelli dottrinali (vedi sent. Corte Cost. 21 gennaio 1988 n. 43) [16]. Tale garanzia  si realizza a seguito del riconoscimento della organizzazione di culto come Confessione religiosa,  che avviene in applicazione della legge 1159 del 1929. Il terzo strumento  è costituito dal “sistema pattizio”, che è riservato  alle Confessioni religiose diverse dalla cattolica. Presupposto per accedervi è la stipula di una Intesa con il governo e la sua successiva approvazione con legge del Parlamento (art. 8 terzo comma Cost.). Per la Chiesa cattolica , vale la norma dell’art. 7 secondo comma della Cost., che appresta  specifiche tutele a questa Confessione, sia di natura costituzionale che internazionale. Vi è chi ha criticato l’attribuzione di una competenza esclusiva al Governo in materia di normazione dei rapporti tra Confessioni e Stato centrale, ai sensi del novellato art. 117 Cost. c secondo, lettera c. Ciò è visto in controtendenza con l’irrobustimento del sistema delle Autonomie Locali iniziato, nel nostro paese a partire dal 1970. La centralizzazione del potere legislativo nella materia, sarebbe in conflitto con la circostanza che  “la maggior parte degli interventi di promozione delle esigenze religiose è assicurato tramite leggi regionali e atti amministrativi dei comuni e degli Enti locali” [17].

 E’ anche vero che, sulla legislazione ecclesiastica italiana, il rapido cambiamento, della demografia religiosa “sta portando lo squilibrio di disciplina giuridica tra le comunità religiose vicino ad un punto di rottura” [18]. Per alcuni sarebbe necessaria una legge generale sulla libertà religiosa, per migliorare l’attuale sistema, poiché quella vecchia sui culti ammessi, era già inadeguata al momento dell’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, anche se molte delle sue restrizioni, sono venute meno e il diritto comune, di fonte statale e regionale, ha offerto nuove possibilità per l’esercizio di questo importante diritto. Si potrebbero, infatti, regolamentare e coordinare specifiche tematiche, in cui esso è coinvolto. Non si può, però, sostenere che la mancanza di una siffatta legge, privi di adeguata protezione la libertà di cui si parla. L’ampiezza del sistema pattizio, essendo state approvate circa  dodici intese, ha consentito di espandere le sue garanzie. Una semplice “ legge quadro” avrebbe come destinatarie le Comunità Islamiche che sono tuttora prive di Intesa; occorre ricordare che, ai fini del riconoscimento  del diritto di cui ci si occupa, la distinzione tra Confessioni con Intesa e Confessioni senza Intesa è irrilevante, per effetto delle disposizioni dell’art. 8 primo comma Cost.

4. La Costituzione italiana garantisce la libertà religiosa, anche nella dimensione collettiva che concerne la organizzazione del fenomeno religioso. Vi è chi ha rilevato a questo proposito, una singolare contraddizione. Da un lato l’art. 8 Cost. assicura “l’eguale libertà“ delle Confessioni religiose, indipendentemente dall’esistenza di una Intesa, ma dall’altro, per quelle che non hanno sottoscritto questo strumento, rinvia alla normativa del 1929, sui culti ammessi. Quindi le Confessioni senza Intesa sarebbero discriminate. Ma altri studiosi hanno sottolineato, che la contraddizione è solo apparente; altrimenti non si vede che interesse avrebbero queste ultime a richiedere al governo di concluderle [19].

Ma cosa si intende per “Confessione religiosa”? Si tratta di una associazione che raccoglie più persone, che condividono e praticano, una medesima fede; la Carta suprema riconosce loro una posizione di parità con lo Stato, tant’è che la disciplina legislativa che regola i rapporti reciproci, deve essere preceduta, dalla stipula di un accordo. 

Esiste un primo gruppo di “ Intese”, concluse con Confessioni dell’area cristianoluterana ed ebraica. Ad esse si attribuisce pacificamente la natura di  “ Organizzazioni religiose”. Un secondo gruppo di Intese fu concluso negli anni dopo il primo decennio del nuovo secolo (e precisamente nel 2012). Per queste ultime, si è posto il problema, se si possa loro riconoscere, il carattere della religiosità, specie per quelle che non credono, nell’esistenza di un “ essere trascendente(come l’Unione Buddista). La risposta, a questo proposito, può essere positiva, perché la religiosità si riscontra anche in quelle che hanno una visione escatologica e la esplicitano in riti, pur non credendo nell’  esistenza di un “ essere soprannaturale”. La avvenuta realizzazione di una Intesa, nel caso concreto, fu giudicata coerente e giuridicamente legittima, essendo poi stata recepita con legge. Alcune  pur avendola conclusa, non la hanno vista trasposta in legge. La circostanza, che una Organizzazione di culto, aspiri a essere considerata Confessione religiosa, è di per se stessa rilevante. Non esiste nel nostro ordinamento, una definizione del concetto di “religione”, per la intrinseca complessità della nozione. Se infatti si riconosce la libertà religiosa, come libertà individuale, non può l’ordinamento identificare e delimitare in modo precostituito, a chi possa applicarsi la sua garanzia. Pertanto

 “in sostanza, dunque, le confessioni religiose godono della “uguale libertàche la Costituzione attribuisce loro a prescindere dall’Intesa e pertanto esse devono essere considerate come preesistenti rispetto al “riconoscimento statale” : di conseguenza, autonomamente rispetto alla legge di recepimento dell’intesa deve essere operata anche la loro configurazione ed identificazione” [20]

 Ve ne possono infatti essere delle altre, che pur avendo le caratteristiche delle “ Confessioni religiose”, non vogliono concludere una “Intesa”. Il problema qualificatorio è da risolvere in via interpretativa, anche mediante un costante adeguamento all’evoluzione della società.   Si veda a questo proposito, l’annosa vicenda giurisdizionale relativa “Unione degli atei e agnostici razionalisti”, che più volte ha richiesto di essere considerata come “Confessione religiosa”.  Il Consiglio di Stato, concluse con un giudizio molto chiaro nel 2011 la vicenda, affermando che il definire ciò che costituisca “Confessione religiosa”, era oggetto di discrezionalità tecnica e quindi l’autorità amministrativa, poteva motivatamente escludere il detto carattere. Tanto più in presenza di una Associazione che si definiva “atea “ o “a religiosa” . Esistono dunque dei canoni obiettivi, per stabilire quando ne ricorra l’esistenza ; l’attitudine di un culto a stipulare  “Intese” non può esser lasciata alla discrezionalità assoluta del Governo, né si può riconoscere un diritto assoluto al richiedente.

Diversa questione è se il Governo, una volta riconosciuti i relativi caratteri alla richiedente, abbia l’obbligo di concludere l’Accordo e per il Parlamento di recepirlo con legge. Pertanto l’Autorità Amministrativa, può solo negare l’apertura delle trattative non riconoscendone la natura propria di “Confessione religiosa”, ma ciò per motivi tecnici, non identificandosi gli elementi costituitivi  propri di essa. La predetta scelta, non attiene alla volontà o meno di avviare le trattative. Se invece si ritiene che quel soggetto, abbia le caratteristiche oggettive di qualificazione richieste, allora l’obbligo di apertura delle trattative esiste senz’altro, senza che le si debba concludere positivamente o recepirle con legge. Né si può affermare che questa interpretazione sia contraria, all’art. 8 della Costituzione in materia di libertà religiosa, perché rinvia allo Stato, il definire ciò che è religioso e ciò che non lo è. In realtà quest’ultima  disposizione, pone un principio di non discriminazione, intendendo porre le premesse, per la tutela contestuale e della laicità e della libertà religiosa. 

Si possono, dunque, considerare tali quelle che si presentano come “formazioni sociali”, operando in forma plurisoggettiva.  Altro elemento, è quello di tipo “psicologico” costituito dalla volontà degli aderenti di farne parte  nella consapevolezza di favorire con ciò lo sviluppo della personalità umana. E’ religiosa quella che professa un credo religioso,  autoqualificandosi per tale, nel proprio atto costitutivo e che così venga storicamente e socialmente percepita. Tutto ciò è rilevante perché “le Confessioni religiose” hanno una disciplina di diritto comune peculiare rispetto alle Associazioni private. Si può concludere con Carlo Cardia [21], che afferma:

 “Si possono, invece individuare quelle che sono le colonne d’Ercole del diritto di libertà religiosa, come definito dalla normativa internazionale, e nazionale, contemporanea : il diritto individuale di aderire ad un credo religioso, di cambiarlo, di non averne alcuno, e il diritto delle confessioni di vivere liberamente con le strutture, gli ordinamenti, la disciplina che ritengono più opportuni. Libertà dell’individuo, autonomia istituzionale delle confessioni, sono i pilastri della moderna libertà religiosa, che vivono in continua simbiosi, anche perché non c’è libertà individuale se manca la libertà istituzionale delle Chiese.”

5. Nel preambolo del Trattato dell’Unione Europea al considerando nr. 2 si dichiara che nel compiere l’ulteriore passo, sulla strada dell’integrazione europea, i governi degli Stati membri, hanno tratto ispirazione dalle 

“eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, riconoscendo che grazie ad esse si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza e dello Stato di diritto”.

Secondo una acuta commentatrice [22]  trattasi di un deciso riconoscimento del rilievo della religione -assieme alla cultura e all’umanesimo- nella costruzione dei valori comuni degli Stati membri  e su cui l’Unione si fonda e protegge con norme di diritto primario. La lettera del preambolo, che è strumento interpretativo, fa anche ritenere che ciò avvenga nel rispetto delle varie declinazioni nazionali di detti principi e strutture organizzative, come specificato dalle norme contenute nell’art. 17 del TFUE . La valorizzazione delle credenze religiose in sede europea, comporta che vi debba essere inclusa la tutela della libertà religiosa . Vi si fa riferimento negli art. 2 e 6 del TUE, quindi, funzione ulteriore dell’art. 17 TFUE è quella di proteggere questo diritto fondamentale. Ciò comporta dei limiti all’azione della UE, quando questa interferisca, in modo negativo, su di esso.

All’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, fu ridelineato  il quadro dei rapporti tra UE e Chiese. Aveva costituito oggetto di disciplina nella dichiarazione n. 11  del Trattato di Amsterdam. I suoi contenuti sono stati trasposti all’interno dell’art. 17 del TFUE, che obbliga la UE a salvaguardare e non pregiudicare lo status di cui le Chiese e le Associazioni o Comunità religiose, godono negli Stati membri. Inoltre vi si prevede che la UE rispetti altresì la posizione di cui godono, le Organizzazioni filosofiche e non Confessionali, in virtù del diritto nazionale. Facendo riferimento  alla Dichiarazione n. 11, vi è una innovazione. La nuova norma va vista, alla luce del principio di attribuzione che permea il diritto UE e inoltre, come abbiamo su specificato, del rispetto dei principi fondamentali e della libertà religiosa. Infatti l’Unione dispone solo delle competenze attribuite dagli Stati membri e il trattamento delle Organizzazioni religiose, non vi rientra. Pertanto teoricamente, si verserebbe in ipotesi in cui la UE non potrebbe operare. Può darsi che nell’esercizio delle proprie competenze, la sua azione possa incidere sulla condizione giuridica delle Chiese. In questo caso si deve rispettare e non pregiudicare il loro status riconosciuto a livello nazionale. Inoltre la UE deve rispettare la loro “identità” e il loro “contributo specifico”. Il conseguire le due predette finalità, deve essere deferito alla disciplina nazionale. Gli Stati membri a loro volta osserveranno la normativa della UE, anche per quanto rilevante nella materia, e chiederanno solo quelle deroghe ammissibili in funzione di garanzia e salvaguardia del diritto interno. Vedasi ad esempio quanto stabilito nella direttiva 2000/78/Ce , relativa alla non discriminazione nel rapporto di lavoro, che all’art. 4 par. 2, prevede che le Chiese e le altre Organizzazioni, la cui etica sia basata sulla religione o su convinzioni personali, possano tenere un comportamento apparentemente discriminatorio (come datori di lavoro), quando

 “per la natura di tali attività, per il contesto in cui vengono esplicate, la religione e le convinzioni personali, rappresentino un requisito essenziale, legittimo e giustificato, per lo svolgimento della attività lavorativa, tenuto conto dell’etica dell’Organizzazione” [23].

 Vi è in questi casi una incidenza sempre crescente del diritto della UE sugli standards nazionali di garanzia , creandosi un acquis comunitario che va ad influire positivamente sulla disciplina nazionale delle religioni.

In definitiva 

“l’impegno alla neutralità così assunto dalla UE non importa indifferenza o impermeabilità al sentimento religioso e spirituale. Se all’inizio dell’esperienza comunitaria la dimensione prevalentemente economica, non presentava alcun punto di contatto con il sentire religioso, man mano che l’integrazione si è evoluta verso una dimensione politica e sociale si è posta in modo, più evidente la questione religioso-filosofica ed il suo impatto per la costruzione dell’edificio europeo” [24].

6. Il diritto della UE  valorizza l’esperienza religiosa quale elemento di integrazione sociale e culturale sia all’interno dei singoli Stati membri che dell’Unione in generale (vedi art. 17 TFUE). La religione rientra nel patrimonio storico e culturale di ogni paese europeo e nella tradizione giuridica degli ordinamenti degli Stati che la  compongono. Le Comunità religiose svolgono un ruolo attivo in molti paesi occidentali e si sono ritagliate uno spazio pubblico, soprattutto operando nel campo sociale e culturale. Nelle Costituzioni Europee si è realizzata una posizione particolare delle Organizzazioni religiose. La Chiesa Cattolica e le altre Comunità religiose, sulla base della spinta “ecumenica” promuovono insieme, indipendentemente dalle posizioni dottrinali e pastorali,  politiche volte ad affrontare i principali problemi delle realtà nazionali in cui operano (migrazioni, povertà, aiuto agli anziani e ai disabili). Nello svolgere tali compiti possono far leva sulla loro forza morale specie per la tutela della Pace e dei Diritti umani fondamentali.

Tutto questo è patrimonio soprattutto delle Chiese di matrice Cristiana che hanno contribuito nei secoli a delineare l’identità del vecchio Continente. Le Chiese hanno trasferito la salvaguardia dei loro privilegi alla persona umana, perseguendo la tutela della libertà religiosa intesa come diritto umano. Facendo ciò hanno operato positivamente all’interno della sfera pubblica europea, consolidando le istituzioni democratiche nelle singole realtà nazionali. 


[1]C. Sbailo’, Testo dell’audizione resa il 14 novembre 2017 innanzi alla I Commissione (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni), nel corso dell’esame delle proposte di legge c. 2976 e c. 3421 recanti disposizioni in materia di istituzione del registro pubblico delle moschee e dell’albo nazionale degli imam, in Osservatorio Costituzionale fasc. 3/ 2017 . Rivista telematica. 

[2]P. Cavana, Libertà religiosa e proposte di riforma della legislazione ecclesiastica in Italia in Stato , Chiese  e pluralismo confessionale n. 41 del 2017. Rivista telematica.

[3]M.Parisi, Laicità europea. Riflessioni sull’identità politica dell’Europa nel pluralismo ideale contemporaneo in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n.1 del 2018. Rivista telematica.

[4]G.Blando, Profili germinali della laicità. Un excursus storico in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 11 del 2019.Rivista telematica.

[5]M.Parisi, The religious dimension in the democratic model of European supranational integration inUniversity of Milan-Bicocca School of Law Reserch paper Series No. 18-05.

[6]R. Mazzola, Confessioni, organizzazioni filosofiche e associazioni religiose nell’Unione Europea tra speranze disilluse e problemi emergenti in Stato , Chiese e pluralismo confessionale, gennaio 1994 Rivista telematica.

[7]M. Parisi, Laicità europea. Riflessioni sull’identità politica dell’Europa nel  pluralismo ideale contemporaneo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 1 del 2018. Rivista telematica.

[8] G. Dalla Torre, Metamorfosi della laicità in Laicità e relativismo nella società post-secolare a cura di Stefano Zamagni e Adriano Guarnieri, Mulino, 2009,p.149 e segg.

[9] G. Dalla Torre, op.cit.,pag..150.

[10]G. Dalla Torre,  op.cit. pag. 153.

[11] G. Dalla Torre, Considerazioni sull’attuale problematica in materia di libertà religiosa in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 24 del 2014. Rivista telematica 

[12] Ibidem

[13] G. Brunelli, La laicità italiana tra affermazioni di principio e contraddizioni della prassi , in Rivista della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 1-2013 . Rivista telematica.

[14] F. Rescigno, Se non ora quando? Principio di eguaglianza e laicità all’italiana, in Ianus, n. 12-2015. Rivista telematica.

[15] P. Cavana. Op.cit. in nota 2.

[16] Conferma : J. Pasquali Cerioli, Legge generale sulla libertà religiosa e distinzione degli ordini in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, gennaio 2010. Rivista telematica.

[17] V. Tozzi, La libertà religiosa in Italia e nella prospettiva europea in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 35 del 2014. Rivista telematica.  

[18] S. Ferrari, Perché è necessaria una legge sulla libertà religiosa? Profili e prospettive di un progetto di legge in Italia in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 21 del 2017. Rivista telematica. 

[19]E. Rossi,  Le “confessioni religiose” possono essere atee?Alcune considerazioni su un tema antico alla luce di vicende nuove in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 15 settembre 2014. Rivista telematica.  

[20]E. Rossi in Op.cit. nota precedente 

[21] C. Cardia, Libertà religiosa e autonomia Confessionale in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Novembre 2008. Rivista telematica. 

[22]M. Lugato,  L’Unione Europea e le Chiese: l’art. 17 TFUE nella prospettiva del principio di attribuzione, del rispetto delle identità nazionali e della libertà religiosa in Recte Sapere, Studi in onore di Giuseppe Dalla Torre, Giappichelli, 2014, pag. 1075 e segg.  

[23]M. Corti,  Diritto dell’Unione Europea e status delle confessioni religiose. Profili lavoristici, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, febbraio 2011. Rivista telematica.

[24]F. Pocar, C. Baruffi, Commentario Breve ai Trattati dell’Unione Europea. Cedam, Padova, 2014, pag. 199.