Il nuovo pluralismo religioso
Giuseppe Dalla Torre
1. La “revanche de Dieu”. – 2. Aspetti soggettivi ed oggettivi del diritto di libertà religiosa. – 3.Problematiche relative alla libertà religiosa individuale. – 4. Problematiche relative alla libertà religiosa collettiva e istituzionale. – 5. Le incertezze dello Stato laico. – 6. Gli insegnamenti del magistero. – 7. Conclusioni
1. Dopo le preconizzazioni degli anni settanta del secolo scorso sulla scomparsa del sacro nella città secolare, dopo il trionfante e devastante avanzare del secolarismo nell’Occidente, ed anche in Paesi come l’Italia che si ritenevano immuni da questo fenomeno, oggi assistiamo ad un ritorno prepotente della religione sulla scena pubblica. Qualcuno ha parlato, in proposito, di “revanche de Dieu”: rivincita di Dio.
Certo si tratta di un ritorno del fatto religioso che non è una restaurazione del passato, ma che appare sovente in forme nuove. Esso è dovuto a fattori diversi: endogeni e soprattutto esogeni.
I primi nascono come naturale controspinta ai processi secolaristici, che portano le religioni tradizionalmente esistenti nei nostri Paesi a reagire con azioni di maggior impegno e presa sociale: si pensi solo, per quanto attiene al mondo cattolico, al progressivo affermarsi, in luogo delle antiche forme associative, delle odierne realtà dei movimenti, caratterizzati tra l’altro dalla pretesa di un coinvolgimento totalizzante della persona.
In questa sede interessano piuttosto i secondi, cioè i fattori esogeni, che sono legati agli epocali processi di immigrazioni in Occidente di sempre più consistenti gruppi umani, i quali portano con sé le loro differenti mentalità, culture, paradigmi etici, credenze religiose. Il caso più evidente e per molti aspetti il più problematico è dato dall’islam, nelle sue diverse espressioni.
La riemersione del fenomeno religioso – il quale rivendica una rilevanza pubblica – nelle forme inedite per noi italiani del pluralismo, pone ovviamente una serie di problemi in relazione ad alcuni princìpi costituzionali quali la libertà religiosa, l’eguaglianza senza discriminazione d’ordine religioso, la laicità dello Stato.
2. Giova previamente richiamare alcuni aspetti del diritto di libertà religiosa, così come codificato nella nostra Costituzione.
Innanzitutto quelli che attengono ai profili soggettivi, vale a dire ai soggetti titolari del diritto. Dall’art. 19 Cost. si ricava chiaramente che la libertà religiosa è un diritto individuale e collettivo, mentre dal primo comma dell’art. 8 Cost. si desume altrettanto chiaramente che nel nostro ordinamento a differenza di altri ordinamenti, pure espressione di Stati democratici – è riconosciuto anche come diritto istituzionale, in particolare delle confessioni religiose.
Per quanto riguarda le persone fisiche, il testo costituzionale parla di “tutti”, dunque senza alcun limite di cittadinanza o di legale permanenza sul territorio dello Stato.
Più complessa la questione dei profili oggettivi del diritto in questione, cioè di quali siano i suoi contenuti. L’art. 19 Cost. si riferisce ai tre classici contenuti elaborati già dal pensiero liberale classico: libertà di professione della propria fede religiosa (ovviamente in pubblico), libertà di farne propaganda, libertà di culto privato e pubblico. E tuttavia l’esperienza insegna che il fatto religioso è per natura sua altamente diffusivo, sì che quasi ogni ambito della vita individuale e sociale è – o può potenzialmente essere – toccato dalla questione religiosa: si pensi al matrimonio ed alla famiglia, all’educazione della prole, alla scuola ed all’educazione, alla sanità ed ai servizi sociali, al lavoro ecc. Del resto tale diffusività è stata accertata da una nutrita giurisprudenza costituzionale (conforme a quella delle corti sovranazionali ed internazionali), che ha ricondotto alla garanzia di cui all’art. 19 Cost. tutta una serie di ambiti che vanno ben al di là di quelli espressamente citati dall’articolo.
Accanto al problema dei contenuti del diritto, si è posto anche quello dei limiti. Anche qui l’indicazione costituzionale, vale a dire il limite dei riti contrari al buon costume, è apparsa al vaglio giurisprudenziale assolutamente insufficiente. Nel senso che si è allargata progressivamente la linea di demarcazione, affermandosi sostanzialmente il concetto per cui il limite del diritto di libertà religiosa non è rinvenibile soltanto in quello esplicitamente menzionato dall’art. 19 Cost., ma può derivare anche da princìpi e norme costituzionali eventualmente confliggenti, assunti in via interpretativa come non derogabili dalla libertà religiosa.
3. Il nuovo pluralismo religioso pone una serie di problematiche inedite per un Paese come il nostro, per tradizione omogeneamente religioso ed in cui il cattolicesimo ha dato un contributo fondamentale nel forgiarne l’identità. Gli abitanti della Penisola erano italiani molto prima della unificazione nazionale: lo erano Francesco d’Assisi, Dante Alighieri o Caterina da Siena. Dunque da noi il pluralismo religioso costituisce un problema con una peculiare rilevanza, rispetto ad altri Paesi di più antica tradizione di pluralismo confessionale.
Se si considera la libertà religiosa come diritto individuale, la nuova situazione di pluralismo religioso pone una serie di problemi in vari ambiti. Innanzitutto per quanto attiene alle pratiche di iniziazione religiosa e più in generale alle usanze riferibili a tradizioni religioso-culturali: si pensi solo alla circoncisione maschile o alle mutilazioni genitali femminili.
Assai rovente tutta la complessa materia matrimoniale e familiare, in cui il fatto religioso entra pesantemente, in particolare per quelle religioni – come l’islam – che ritengono la materia estranea al diritto secolare ma rientrante nella legge religiosa. Lo stesso dicasi, evidentemente, per i profili della educazione e della istruzione. Per quanto riguarda in particolare il settore scolastico, esiste un doppio profilo della questione: da un lato la pretesa dei diversamente credenti di avere un insegnamento (di letteratura, storia, filosofia ecc.) non “inquinato” da inflessioni cattoliche, dall’altro la pretesa ad avere nella scuola pubblica l’insegnamento della religione di appartenenza. E se l’insegnamento della religione cattolica, previsto dal Concordato, è soggettivamente facoltativo (ma la sua attivazione in ogni classe è oggettivamente obbligatoria), quindi tale da non sollevare problemi in ordine alla libertà religiosa, altrettanto non può dirsi per pratiche tradizionali che sono espressione della storia e della cultura italiane (il caso esemplare è quella della realizzazione del presepe nelle scuole materne ed elementari, fonte di ricorrenti querelles).
Altri ambiti problematici sono quelli dell’ osservanza dei precetti religiosi nell’ambito lavorativo, delle pratiche religiose nelle comunità segreganti (ospedali, case di ricovero, istituti penitenziari ecc.), dell’abbigliamento (velo, burqa) e del porto di simboli religiosi nei luoghi pubblici, dei regimi alimentari (nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle mense aziendali ecc.).
Nei tempi più recenti si sono poi venute ponendo questioni in materia bioetica: si pensi al caso di trattamenti sanitari non consentiti dalla religione di appartenenza (es. trasfusioni di sangue).
4. Nutrito poi il gruppo di questioni attinenti ai profili comunitari ed istituzionali della libertà religiosa.
Attualmente, specie per quanto riguarda l’islam ma non solo, il problema più urgente appare essere quella della disponibilità di luoghi di culto. Si tratta di una rivendicazione che incide direttamente su uno dei tre contenuti del diritto in esame specificamente contemplato dalla Costituzione. Accanto a questo si pone il tema della rivendicazione delle confessioni religiose senza Intesa di poter beneficiare del finanziamento pubblico. Si tratta di temi tutt’altro che secondari, posto che il nostro ordinamento contempla una tutela non solo negativa ma anche positiva delle confessioni, il che comporta la creazione delle condizioni (anche economiche e strumentali) perché la religione possa essere concretamente esercitata.
Meno diffuse ancora, ma è prevedibile che tra non molto diverranno un argomento di dibattito pubblico, le richieste a vedere riconosciute civilmente le festività religiose, con le conseguenze giuridiche che ciò comporta, come l’astensione dal lavoro, ma anche qui con l’impegno pubblico a renderle possibili e visibili; ovvero il riconoscimento del diritto ad esporre simboli religiosi nello spazio pubblico, a cominciare dalle – ed in particolare nelle – scuole.
Non ancora avvertite, anche per la peculiare situazione italiana, altre rivendicazioni che altrove (per esempio nel Regno Unito) si sono rese sempre più evidenti, come ad esempio la garanzia dell’assicurazione di un effettivo pluralismo religioso nei “media” e il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati da istituti religiosi di alta cultura.
5. A fronte degli accennati fenomeni lo Stato laico si trova dinnanzi ad una scelta talora paralizzante, e per certi aspetti paradossale, data dalle modalità di declinazione di quel principio di eguaglianza che pure costituisce postulato e al tempo stesso effetto della laicità. Da un lato, infatti, in nome dell’eguaglianza si perseguono obbiettivi di integrazione ed assimilazione, che evidentemente comportano la tendenziale scomparsa delle diversità; dall’altra, sempre in nome dell’eguaglianza, si tende ad affermare il diritto alla diversità (o alla differenziazione, come a qualcuno piace dire). Da un lato, come nell’esperienza francese, c’è la tendenza al sacrificio delle identità e all’appiattimento sul modello del citoyen; dall’altro lato l’esplodere delle diversità, come – seppure con diverse esperienze – nel caso inglese ed in quello tedesco, comporta il rischio della messa in pericolo dei collanti che tengono insieme una comunità politica.
Si osservi poi che nelle nostre società si è sovente dinnanzi alla singolare e contraddittoria situazione per cui in nome dei diritti inviolabili dell’uomo, si pretende dal diversamente credente la rinuncia a propri comportamenti religiosi, violandosi così uno di tali diritti: quello alla libertà religiosa. Esiste poi tutta una giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo che vede nel principio di laicità un limite al diritto di libertà religiosa.
Sotto uno specifico profilo, che però assume ogni giorno sempre più evidenza, occorre esemplificativamente notare che con la riemersione del fenomeno religioso riemerge la questione matrimoniale e familiare. Il fatto non deve sorprendere, perché si tratta di materia in cui eminentemente si esprime la visione religiosa dell’uomo e della società, si estende la congruente scala di valori morali, si manifesta la pressione educatrice e conformatrice delle istituzioni religiose.
La risultante è che riappare il dualismo (potenzialmente) conflittuale tra diritto secolare, di derivazione statale, e diritto religioso; riappaiono le rivendicazioni per riportare la disciplina giuridica di matrimonio e famiglia alla società civile. In particolare ritorna la rivendicazione, che tra Ottocento e Novecento era stata tipica del cattolicesimo, del diritto a sposare secondo coscienza e, più ancora, a vedere regolata la vita familiare secondo i dettami della propria fede religiosa.
Giova richiamare conclusivamente sul punto quanto scriveva Rosmini a metà Ottocento: “La libertà di coscienza non può esistere, se la legge civile non si piega e adatta alle coscienze de’ cittadini, mostrandosi rispettosa alle loro religiose credenze. La legge civile non può adattarsi alle coscienze e credenze religiose de’ cittadini, se essa parte dal principio di astrarre da tutte le credenze” (A. Rosmini, Filosofia del diritto, Boniardi-Pogliani, Milano 1843, II, p. 411 ss.).
6. Non è il caso di riprendere in questa sede l’insegnamento del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa, consacrato nella dichiarazione Dignitatis humanae.
Appare invece opportuno presentare una selezione di passi di uno dei tanti documenti in cui, più recentemente, Benedetto XVI ha affrontato la questione della libertà religiosa. A partire in particolare dal Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata Mondiale della Pace, del 1° gennaio 2011 dal titolo “Libertà religiosa, via per la pace”.
In questo documento il Papa osservava preliminarmente che “Nella libertà religiosa [infatti] trova espressione la specificità della persona umana, che per essa può ordinare la propria vita personale e sociale a Dio, alla cui luce si comprendono pienamente l’identità, il senso e il fine della persona. Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà significa coltivare una visione riduttiva della persona umana; oscurare il ruolo pubblico della religione significa generare una società ingiusta, poiché non proporzionata alla vera natura della persona umana; ciò significa rendere impossibile l’affermazione di una pace autentica e duratura di tutta la famiglia umana” (n. 1).
Osservava poi che “ Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana, la cui natura trascendente non deve essere ignorata o trascurata. Dio ha creato l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,27). Per questo ogni persona è titolare del sacro diritto ad una vita integra anche dal punto di vista spirituale. Senza il riconoscimento del proprio essere spirituale, senza l’apertura al trascendente, la persona umana si ripiega su se stessa, non riesce a trovare risposte agli interrogativi del suo cuore circa il senso della vita e a conquistare valori e principi etici duraturi, e non riesce nemmeno a sperimentare un’autentica libertà e a sviluppare una società giusta”; ed aggiungeva che “La dignità trascendente della persona è un valore essenziale della sapienza giudaico-cristiana, ma, grazie alla ragione, può essere riconosciuta da tutti. Questa dignità, intesa come capacità di trascendere la propria materialità e di ricercare la verità, va riconosciuta come un bene universale, indispensabile per la costruzione di una società orientata alla realizzazione e alla pienezza dell’uomo. Il rispetto di elementi essenziali della dignità dell’uomo, quali il diritto alla vita e il diritto alla libertà religiosa, è una condizione della legittimità morale di ogni norma sociale e giuridica” (n. 2).
Si soffermava quindi sui contenuti della libertà in questione, affermando che “ La libertà religiosa è all’origine della libertà morale. In effetti, l’apertura alla verità e al bene, l’apertura a Dio, radicata nella natura umana, conferisce piena dignità a ciascun uomo ed è garante del pieno rispetto reciproco tra le persone. Pertanto, la libertà religiosa va intesa non solo come immunità dalla coercizione, ma prima ancora come capacità di ordinare le proprie scelte secondo la verità” (n. 3).
Proseguendo il suo Messaggio, Papa Ratzinger rilevava poi: “Si potrebbe dire che, tra i diritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona, la libertà religiosa gode di uno statuto speciale. Quando la libertà religiosa è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei popoli. Viceversa, quando la libertà religiosa è negata, quando si tenta di impedire di professare la propria religione o la propria fede e di vivere conformemente ad esse, si offende la dignità umana e, insieme, si minacciano la giustizia e la pace, le quali si fondano su quel retto ordine sociale costruito alla luce del Sommo Vero e Sommo Bene. La libertà religiosa è, in questo senso, anche un’acquisizione di civiltà politica e giuridica” (n. 5).
Importante notare come il Papa tenesse a sottolineare la dimensione pubblica della religione, rilevando tra l’altro che “ La libertà religiosa, come ogni libertà, pur muovendo dalla sfera personale, si realizza nella relazione con gli altri. Una libertà senza relazione non è libertà compiuta. Anche la libertà religiosa non si esaurisce nella sola dimensione individuale, ma si attua nella propria comunità e nella società, coerentemente con l’essere relazionale della persona e con la natura pubblica della religione. La relazionalità è una componente decisiva della libertà religiosa, che spinge le comunità dei credenti a praticare la solidarietà per il bene comune. In questa dimensione comunitaria ciascuna persona resta unica e irripetibile e, al tempo stesso, si completa e si realizza pienamente” (n. 6).
Ed ancora, nel Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, del 10 gennaio 2011, diceva: “Vorrei ricordare infine che la libertà religiosa non è pienamente applicata là dove è garantita solamente la libertà di culto, per di più con delle limitazioni. Incoraggio, inoltre, ad accompagnare la piena tutela della libertà religiosa e degli altri diritti umani con programmi che, fin dalla scuola primaria e nel quadro dell’insegnamento religioso, educhino al rispetto di tutti i fratelli nell’umanità”, aggiungendo che “occorre affermare che una proclamazione astratta della libertà religiosa non è sufficiente: questa norma fondamentale della vita sociale deve trovare applicazione e rispetto a tutti i livelli e in tutti i campi; altrimenti, malgrado giuste affermazioni di principio, si rischia di commettere profonde ingiustizie verso i cittadini che desiderano professare e praticare liberamente la loro fede”.
Anche Papa Francesco è intervenuto più volte in tema. In particolare del discorso del 20 giugno 2014, rivolto ai partecipanti al Convegno internazionale su “La libertà religiosa secondo il diritto internazionale e il conflitto globale dei valori”.
Nell’intervento, dopo aver osservato che “ il dibattito intorno alla libertà religiosa si è fatto molto intenso, interpellando sia i Governi sia le Confessioni religiose” e che “La Chiesa Cattolica, a questo riguardo, fa riferimento alla Dichiarazione Dignitatis humanae, uno dei documenti più importanti del Concilio Ecumenico Vaticano II”, ha detto tra l’altro:
“La ragione riconosce nella libertà religiosa un diritto fondamentale dell’uomo che riflette la sua più alta dignità, quella di poter cercare la verità e di aderirvi, e riconosce in essa una condizione indispensabile per poter dispiegare tutta la propria potenzialità. La libertà religiosa non è solo quella di un pensiero o di un culto privato. E’ libertà di vivere secondo i principi etici conseguenti alla verità trovata, sia privatamente che pubblicamente. Questa è una grande sfida nel mondo globalizzato, dove il pensiero debole – che è come una malattia – abbassa anche il livello etico generale, e in nome di un falso concetto di tolleranza si finisce per perseguitare coloro che difendono la verità sull’uomo e le sue conseguenze etiche”.
Ha quindi aggiunto: “Gli ordinamenti giuridici, statuali o internazionali, sono chiamati pertanto a riconoscere, garantire e proteggere la libertà religiosa, che è un diritto intrinsecamente inerente alla natura umana, alla sua dignità di essere libero, ed è anche un indicatore di una sana democrazia e una delle fonti principali della legittimità dello Stato” precisando che: “La libertà religiosa, recepita nelle costituzioni e nelle leggi e tradotta in comportamenti coerenti, favorisce lo sviluppo di rapporti di mutuo rispetto tra le diverse Confessioni e una loro sana collaborazione con lo Stato e la società politica, senza confusione di ruoli e senza antagonismi. Al posto del conflitto globale dei valori si rende possibile in tal modo, a partire da un nucleo di valori universalmente condivisi, una globale collaborazione in vista del bene comune”.
7. Per concludere sembra importante richiamare un passo dell’importante discorso tenuto, sempre da Benedetto XVI, il 22 settembre 2011, al Reichstag di Berlino, durante il viaggio apostolico in Germania.
“Contrariamente ad altre grandi religioni – diceva –, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio. Con ciò i teologi cristiani si sono associati ad un movimento filosofico e giuridico che si era formato sin dal secolo II a. Cr. Nella prima metà del secondo secolo precristiano si ebbe un incontro tra il diritto naturale sociale sviluppato dai filosofi stoici e autorevoli maestri del diritto romano”.
Dunque è sul piano della ragione che va individuata la soluzione, certamente non facile, di un problema complesso in una società religiosamente pluralistica, vale a dire quello dell’equilibrio tra tradizione e identità nazionale da un lato, ed effettività della libertà religiosa individuale, collettiva ed istituzionale dall’altra.