Un simile approccio alle questioni bioetiche e biogiuridiche è squisitamente giusfilosofico: secondo il paradigma ontofenomenologico descritto e ripreso dall’Autore, la filosofia del diritto indaga il senso delle norme esistenti nel diritto e le valuta alla luce del loro télos, ovvero la relazionalità umana e la coesistenza sociale 

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Claudio Sartea, Bioetica e biogiuridica. Itinerari, incontri e scontri, G. Giappichelli Editore, Torino 2019, pp. 200.

Margherita Daverio

Come il titolo promette, il nuovo libro di Claudio Sartea è un (articolato) percorso filosofico-giuridico all’interno dei rapporti tra bioetica e biogiuridica, attraverso i reciproci intrecci e confronti delle due discipline che trovano un punto di incontro a partire dal comune oggetto, il bíos – classicamente, la vita dell’uomo –, che si caratterizza come vita biologica intrinsecamente biografica.

Se molteplici sono le sfide attuali legate all’utilizzo sempre più pervasivo delle biotecnologie, lo sguardo dell’Autore nel corso del testo coglie che sottesi a tali sfide “si agitano i problemi principali, che non sono tecnici ma semantici, hanno cioè a che vedere con il senso: il senso di quelle pratiche in relazione al senso dell’essere umano e della sua vita nel mondo” (p. 178). In risposta a tali sfide di senso, “la tesi fondamentale [del lavoro in oggetto] è che i fatti studiati dalla bioetica e dalla biogiuridica (quelli biologici e clinici, ma non solo essi) rimandino ad un senso, e che questo senso sia (magari faticosamente) accessibile agli animali pensanti”, si legge nell’Introduzione. Un simile approccio alle questioni bioetiche e biogiuridiche è squisitamente giusfilosofico: secondo il paradigma ontofenomenologico descritto e ripreso dall’Autore, la filosofia del diritto indaga il senso delle norme esistenti nel diritto e le valuta alla luce del loro télos, ovvero la relazionalità umana e la coesistenza sociale

Riflettere sul bíos, come si sottolinea nell’introduzione e nell’importante premessa di Francesco D’Agostino, non è un compito facile: significa addentrarsi in riflessioni che dall’approccio filologico del significato di vita (a partire dalla distinzione con zoé, la vitalità comune a tutti i viventi e psyché, l’anima) conducono direttamente all’antropologia filosofica. Partendo dall’analisi del concetto sotteso al prefisso bio- comune a bioetica e biogiuridica, l’Autore discute il tema del bíos nelle sue dimensioni filosofico-giuridiche, in particolare nel capitolo dedicato a “Il corpo umano tra etica e diritto”, in cui si tratta della legittimazione delle regole per il corpo e dello statuto giuridico di quest’ultimo, che rappresenta una “misura critica” per il diritto, in quanto dotato di uno statuto ontologico positivo e perciò contesto di diritti indisponibili. Tale inquadramento concettuale è messo fruttuosamente alla prova con la questione dei trapianti di organo e dello statuto giuridico dei campioni biologici umani, dibattute nelle due appendici che seguono.

“Bioetica e biogiuridica si richiamano per la coincidenza del loro oggetto di protezione, il bíos umano nel suo paradossale statuto oggettivo-soggettivo (perché sempre mediato dal corpo, che è cosa e persona allo stesso tempo, e della cosa assume l’obiettività naturalistica, come della persona mostra i caratteri dignitari e l’intima dipendenza da un vissuto libero)” (p. 177): lungi da essere binari paralleli, bioetica e biogiuridica si intrecciano in una feconda dialettica che permette una protezione a tutto tondo del bíos. Da un lato, la bioetica necessita dell’intervento della biogiuridica precisamente a protezione del bíos, come sottolinea l’Autore: “Qualunque cosa ci dica la bioetica al momento di individuare la migliore soluzione (in termini di bene e di male) ad un problema presente o futuro in qualche modo dipendente da applicazioni biotecnologiche, la biogiuridica sarà dal canto suo preoccupata di garantire che quella soluzione non intacchi la sicurezza dei soggetti in relazione, la durata della relazione medesima, la natura cooperativa e non conflittiva della stessa” (p. 51). Dall’altro lato, la regolazione biogiuridica riconosce la normatività pre-positiva dei principi fondamentali della bioetica, individuando esigenze antropologiche che vanno soddisfatte ad ogni costo (principi assoluti come quello di dignità) e strutture relazionali da assicurare sempre (come i legami identitari). C’è inoltre un legame epistemologico tra le due: la bioetica necessita del diritto per l’affermazione pubblica dei suoi riconoscimenti e per la loro protezione legale; d’altro canto, “la biogiuridica senza la bioetica rischierebbe di rimanere un esercizio normativistico o l’ennesimo episodio di democrazia del vuoto assiologico (cioè del volontarismo, perché è l’arbitrio normalmente a prendere il posto dei contenuti naturalistici)” (p. 177).

Nell’introduzione si avverte che “il libro che il lettore ha tra le mani è costruito secondo schemi piuttosto diversi dai manuali di bioetica e biogiuridica”. Allo stesso tempo, per la panoramica dei temi trattati (non si dimentichino il capitolo iniziale sulla critica della ragione strumentale né il capitolo dedicato alla filosofia della medicina, che offrono importanti chiavi di lettura) e la molteplicità degli autori discussi nella trattazione (Aristotele, Kant, Adorno e Horkheimer, ma anche Arendt, Jonas, Habermas, Spaemann, per citarne alcuni; naturalmente, Cotta, D’Agostino e numerosi filosofi del diritto) fanno del testo un utile riferimento per studenti e giuristi che vogliano addentrarsi nelle questioni bioetiche e biogiuridiche più importanti.