Pubblichiamo l’interessante contributo dell’Avv. Gianfranco Maglio, socio dell’Unione, che esamina i passaggi fondamentali del pensiero di Luigi Sturzo.

Scarica il PDF

Aspetti fondamentali del pensiero morale e politico di Luigi Sturzo

Gianfranco Maglio

Il pensiero e l’opera di Luigi Sturzo (1871-1959) rappresentano una tappa fondamentale nell’evoluzione del cattolicesimo democratico dell’ultimo secolo. Vari sono i motivi di tale rilievo: la difesa intransigente della libertà della persona umana; la maturata convinzione, culminante nella fondazione del Partito Popolare Italiano, nel 1919, vale a dire un secolo fa, che l’impegno dei cattolici nella politica è un vero e proprio dovere; il forte rigore morale che caratterizzò la sua vita di sacerdote e di uomo nell’impegno politico e sociale sin dai primi anni siciliani e poi, in tempi successivi, durante il lungo esilio (dal 1924 al 1946) e nei primi anni del secondo dopoguerra. Cercheremo di analizzare sinteticamente gli aspetti fondamentali del suo pensiero politico e morale, ponendo in luce l’originalità e attualità di Luigi Sturzo, per molti anni ingiustamente dimenticato anche dalla cultura politica cattolica.

Anzitutto, già negli ultimi anni dell’800 e nel vigore del non expedit, frutto dell’annoso contrasto fra il nuovo stato unitario italiano e la Santa Sede, Sturzo comprende la necessità di avviare una stagione di impegno politico dei cattolici, originato e sostenuto in tale sua convinzione dalle encicliche sociali di Papa Leone XIII (soprattutto a seguito della Rerum Novarum). In una conferenza del 1902, pubblicata nel 1906, Sturzo precisava:

 

«Quel movimento sociale, che, partendo dagli insegnamenti della enciclica “Rerum Novarum”, cerca alla questione sociale che agita i popoli una soluzione teorica e pratica nel senso schietto, genuino e, se vuolsi dire, anche integrale della parola “cristianesimo” e nelle moderne concezioni legittime di “democrazia”, è stato chiamato fra di noi “democrazia cristiana» (1).

Sturzo criticava il liberalismo individualistico, che conduce alla “vittoria del forte sul debole” e che non conosce “il principio dell’amore del prossimo”; l’anarchia capace solo di distruggere e il socialismo basato sulla lotta di classe. In tutte queste forme domina l’egoismo “che viola la legge dell’amore universale e della giustizia” e “che presiede alla lotta eterna dell’umanità” (2). Questa critica veniva poi ulteriormente precisata da Sturzo, ponendo l’accento sulle conseguenze pratiche di visioni politiche spesso lontane (per utopismo o egoismo di pochi) dai bisogni concreti delle popolazioni:

«La critica […] è profondamente reale; è la critica al liberalismo atomistico, al capitalismo prepotente, al centralismo di stato, alla disonestà delle amministrazioni, al pauperismo opprimente: è la critica alle condizioni anomale e precarie del proletariato, all’avvilimento del lavoro-merce, alla concorrenza sfrenata, alla politica egoistica militarista e dilapidatrice, al liberalismo monopolista» (3).

 Per evitare poi sospetti e incomprensioni Sturzo chiariva che la democrazia cristiana non è la Chiesa, intesa come istituzione fondata da Cristo, ma è “l’effetto degli insegnamenti sociali della Chiesa” che guardano al bene comune e alla pacificazione delle classi sociali:

«La democrazia cristiana […] sta nei principi fondamentali e in molte conseguenze in contrasto e in antitesi con il liberalismo e con il socialismo, ed entra al pari di essi nell’agone concreto della lotta con i sussidi religiosi e morali della Chiesa e con i mezzi e le forme moderne ed evolute di lotte civili e di pensiero […] portando nella vita sociale dei popoli quella giustizia e quell’amore reale, che invano si propugna a nome degli altri principi» (4).

Sturzo si proponeva di mettere in luce come le ideologie politiche del suo tempo, nella loro attuazione sociale, si traducessero in una sostanziale negazione dei diritti della persona umana. Quest’ultima è il vero centro dell’azione politica, la sua difesa e promozione ne rappresentano le finalità e il bene comune l’obiettivo. Questa socialità in cerca di bene non può fare a meno dell’amore del prossimo e senza quest’ultimo manca la giustizia. La vera rivoluzione possibile è quella spirituale, capace di rifondare il significato profondo del rapporto fra persona umana e società in attuazione dei “principi cristiani di giustizia e di carità”:

«La vera rivoluzione comincia con una negazione spirituale del male e una spirituale affermazione del bene. In pratica ciò procede lentamente ma è una costruzione sicura, un edificio con profonde fondamenta è perciò stabile. È fondato sulle salutari energie della natura e sempre ispirato dai principi cristiani di giustizia e di carità» (5).

Certo parlare di amore del prossimo significa riferirsi al nucleo vivente dell’etica cristiana e dunque riproporre la centralità della dimensione religiosa, da intendersi non solo quale rapporto privato fra l’uomo e Dio, ma bensì, e contro il pensiero laicista del tempo, come forza viva e dinamica della vita sociale. D’altronde non si può dimenticare che la dimensione religiosa è intrinseca alla realtà della persona umana e la libertà ne costituisce l’essenziale nutrimento.

Il pensiero di Luigi Sturzo trova una prima realizzazione nel celebre “Appello al Paese” (A tutti gli uomini liberi e forti) del 18 gennaio 1919, che contiene il Programma in dodici punti del nascente Partito Popolare Italiano. Le rovine del primo conflitto mondiale e i gravi problemi sociali che si andavano determinando richiedevano politiche nuove capaci di risollevare lo spirito e le condizioni materiali dei popoli coinvolti nella guerra. I termini libertà, autonomia e indipendenza emergono con forza in tale documento che prevede una robusta politica sociale sul fronte dell’educazione, dell’economia e del lavoro, della giustizia fiscale. La filosofia politica e la concezione dello stato di Sturzo sono già molto chiari nella presentazione del programma:

«Ad uno Stato accentratore, tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i Comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private. E perché lo Stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domandiamo la riforma dell’istituto parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto delle donne, e il senato elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali; vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione; invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l’autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali» (6).

Dal passo citato si evidenzia la netta critica alle ideologie dominanti in quel tempo difficile e la convinzione che i “saldi principi del cristianesimo” erano in grado di proporre qualcosa di nuovo, soprattutto nella direzione di una effettiva promozione della persona umana. Infatti così continua il documento richiamato:

«Ci presentiamo alla vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, ispirandoci ai saldi principi del cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia; missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismi, di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi imperi caduti, di fronte a democrazie socialiste che tentano la materializzazione di ogni idealità, di fronte a vecchi liberalismi settari che, nella forza dell’organismo statale centralizzato, resistono alle nuove correnti affrancatrici» (7).

Nei dodici punti del Programma del Partito Popolare Italiano queste finalità trovavano ampia applicazione: protezione della famiglia, libertà di insegnamento, di organizzazione sindacale del lavoro, libertà e autonomia degli enti locali e decentramento amministrativo, libertà e indipendenza della chiesa, libertà e sviluppo della coscienza cristiana, riforma tributaria, riforma elettorale con il voto femminile, politica di pace e disarmo universale (8).

Il nuovo partito entrò nel Parlamento italiano a seguito delle elezioni del novembre 1919, ma si trattò, come per gli altri partiti, di un’esperienza breve, interrotta dall’avvento del fascismo. Dopo il secondo conflitto mondiale e con la nascita della Repubblica Italiana, la Democrazia Cristiana sarà l’erede del Partito Popolare, cercando di applicare, in una nuova stagione politica e sociale, i principi fondamentali della tradizione cattolico democratica. Peraltro, rientrato dall’esilio nel 1946, Luigi Sturzo non si riconoscerà del tutto nella nuova compagine politica, mantenendo un certo distacco anche levando la sua voce critica quando l’organizzazione dello stato sembrava, nei fatti, non assicurare quei principi di libertà della persona e della società civile per i quali egli aveva sempre combattuto.

Per comprendere meglio questi aspetti dobbiamo brevemente approfondire i tratti fondamentali della visione sturziana.

Il pensiero di Sturzo prende le mosse da un valore indiscutibile, frutto della grande tradizione cristiana: la centralità della persona umana, vero e proprio cardine della società civile. Abbiamo visto quanto sia importante la sua difesa e promozione nel progetto politico che il sacerdote di Caltagirone elaborò e difese per tutta la vita. Il cristianesimo ci aiuta a collocare il valore della persona umana al centro della vita sociale, cogliendone il significato profondo e l’esigenza realizzativa e perfezionativa:

«Tutti, individui e società, rispondono e cooperano direttamente o indirettamente alla vocazione universale di realizzarsi per mezzo delle forme sociali e in ciascuno di noi. Tutti così divengono in modo misterioso, cooperatori di Dio» (9).

Richiamando una nota posizione di Antonio Rosmini, Sturzo considera la persona quale principio del diritto naturale, identificazione con quest’ultimo, anzi, «la personalità umana come tale resta la sorgente e la misura immediata del diritto naturale» (10). L’individualismo e l’egoismo producono l’eclissi della persona e allontanano dal perseguimento del bene comune: quest’ultimo presuppone il riconoscimento di un finalismo individuale e sociale che postula la certezza che il piano naturale dell’esistenza umana si completa nella dimensione soprannaturale.

Centralità della persona dunque, anche da intendersi quale fondamentale limite al potere dei gruppi e dello stato:

«Quando si dice personalità e persona s’intende con questo tutto ciò che esse rappresentano; spiritualità e sensibilità, vita individuale e sociale, cultura e religione, interessi materiali e vita superiore. È necessario giungere a liberare la persona umana dall’assoggettamento al gruppo, allo Stato, alla nazione, a una qualunque collettività compresa e sentita come una entità che ha in sé il proprio fine. Simili entità son mezzi, non fini. Il loro fine è la persona umana e ciò che essa comporta di immanente e di trascendente» (11).

Questo finalismo della persona non va solo riconosciuto ma deve essere realizzato, e ciò è possibile solo nella libertà, vero e proprio lievito della vita individuale e sociale. Ecco perché lo stato non deve mai identificarsi con la società civile perché tale pericolosa identificazione porta alla perdita della libertà. L’esperienza drammatica dei regimi autoritari e dei totalitarismi dimostrava proprio come da tale identificazione, attribuendo allo stato un valore morale in sé, si annullavano le libertà personali e collettive. Già in un celebre discorso tenuto a Parigi il 30 marzo 1925, quando già viveva in esilio, Sturzo ribadiva la sua fede nella libertà:

«La libertà è come la verità: si conquista; e quando si è conquistata, per conservarla si riconquista; e quando mutano gli eventi e si evolvono gl’istituti, per adattarla si riconquista. È un perenne giuoco dinamico, come la vita, nel quale perdono quei popoli che non l’hanno mai apprezzata abbastanza per difenderla e non ne hanno saputo usare per non perderla. Perché usare della libertà vuol dire non consentire né la dittatura, né la licenza; nell’un caso e nell’altro la libertà non esiste: non tanto per il fatto materiale del dominio di un uomo o di una plebe; ma assai più per il fatto sostanziale che è mancata la forza morale la popolo di mantenersi in libertà, per non permettere che il dittatore o la plebe ne violino la personalità collettiva» (12).

Sturzo sottolineava anche come fosse erroneo affermare «che la libertà si sia conquistata con la rivoluzione francese e che prima di allora non esistesse», con ciò disconoscendo la rilevanza della rivoluzione cristiana e di quel Vangelo di Gesù Cristo «che non conobbe ebrei o gentili, padroni o servi, schiavi o liberi […] Egli solo rivendicò interamente la personalità umana, base della vera libertà» (13). I cattolici hanno il grande compito di difendere questa tradizione di libertà spirituale, consolidando la civiltà cristiana:

«Una cosa dobbiamo desiderare e volere, e i cattolici come tali devono promuovere con ogni sforzo, che gli insegnamenti religiosi sui rapporti tra autorità e libertà, che la valutazione dei fini superni dell’uomo ai quali vanno coordinati quelli puramente terreni, che l’insegnamento evangelico dell’amore di Dio e del prossimo, base di vita sociale, penetrino nello spirito degl’istituti politici e vivifichino lo sviluppo della nostra civiltà che è sostanzialmente, nonostante le deviazioni, civiltà cristiana» (14).

L’esigenza della libertà è paragonabile all’aria che respiriamo, garantisce la vita della persona umana, la rende possibile e la rafforza:

«La libertà è come l’aria: si vive nell’aria; se l’aria è viziata si soffre; se l’aria è insufficiente, si soffoca; se l’aria manca si muore. La libertà è come la vita; la vita è presente in tutti gli atti, in tutti i momenti, se non è presente è la morte» (15).

Nel rapporto perenne tra autorità e libertà va cercato un equilibrio che sappia rispondere alla necessità di salvaguardare la persona umana sia singolarmente che nelle formazioni sociali, come più tardi dirà il testo della nuova Costituzione repubblicana. Questa sintesi richiede che l’autorità dello stato trovi dei limiti invalicabili, come Sturzo precisa nel suo importante scritto su Politica e morale, di cui abbiamo già fatto cenno:

«Ogni potere, politico ed economico di qualunque altro genere, che non ha limiti organici, diventa facilmente immorale. I limiti organici sono necessari come preliminari alla moralizzazione del potere […] nella misura in cui creano il senso del diritto e del dovere nell’esercizio del potere» (16).

Questo limite invalicabile è proprio costituito dal valore della persona umana e la stessa democrazia deve avere un fine che vada oltre le proprie istituzioni e questo fine, ancora una volta, “è la persona, tutta la persona” (17). Il possesso e il potere devono quindi avere dei “limiti organici”, altrimenti la libertà della persona viene vanificata:

«Quando il potere si afferma solutus a lege hominum, si giunge facilmente a considerarlo come solutus a lege Dei, cioè superiore alla morale. In tal caso il problema della morale nella politica non può essere sollevato perché da un lato è cessata ogni vita collettiva e dall’altro la legge si trasforma nella illimitata volontà del tiranno» (18).

Questo significa che più si riducono tali limiti più è facile che si affermino sistemi politici immorali, dove tutto è subordinato al potere e ai suoi fini particolari. Sturzo non pensa che tale pericolo riguardi solo i regimi totalitari del tormentato novecento, ma anche quella che lui chiama la “democrazia laicista” non è esente da una valutazione critica, a causa di quell’individualismo fine s se stesso che pure compromette il valore della persona. Scrive Sturzo:

«Contemporaneamente si dovrebbe capire che la democrazia laicista è superata. Il laicismo ha dato i frutti che poteva dare ed è un anacronismo, e perfettamente sterile. Dire alla gioventù, che la democrazia è fine a se stessa e che lo Stato laico è il mezzo di completamento della nostra individualità, che la scienza vincerà le tenebre della teologia, è dire parole vane, senza significato attuale e che non riescono a risvegliare in essa alcun slancio» (19).

I diritti della persona umana vanno riaffermati «oltre l’individualismo che considera le persone come dei numeri, al di là dello statismo che congloba tutti» (20). Questo finalismo della persona consente di riconoscere l’intima moralità della vita sociale e dunque della vita politica. Si tratta di un rapporto ineliminabile per Sturzo: guardare al bene comune significa cogliere e vivere dei valori morali uniformandosi ad essi con la libera coscienza e tutto ciò è ben diverso dal semplice conformare il proprio comportamento esterno a una legge positiva (21). La moralità è essenziale alla vita politica e si compendia sempre nel rispetto per la persona umana e i suoi fini, che non sono solo naturali ma anche soprannaturali, in una coerente concezione cristiana dell’uomo dove le due realtà, come ebbe a scrivere Giuseppe Lazzati, «convivono distinte pur nell’unità della persona, distinte ma non separate» (22). Non ci può essere vera democrazia se si ignora o semplicemente si disconosce tale centralità. Lo stato democratico è un mezzo, uno strumento, con il quale, in via sussidiaria e integrativa, si interviene a favore delle persone e delle loro necessità.

Come abbiamo visto Sturzo fonda il significato e la legittimità della vita politica sulla centralità della persona umana e della sua ontologica libertà. Sturzo teme però l’eccesso di stato, quello statalismo che vede ancora forte anche nel secondo dopoguerra e che, risolvendo spesso la propria azione in assistenzialismo e burocratizzazione amministrativa, finisce per mettere in pericolo la libertà della persona. Lo stato popolare è invece altro: riconosce i propri limiti, rispetta gli organismi sociali che lo compongono, dalla famiglia agli enti locali, si inchina “davanti ai diritti della persona umana” (23). Su questo punto l’insegnamento di Sturzo è costante nella sua critica dell’esperienza politica, dal primo al secondo dopoguerra. Già nel 1918 egli condannava la ““tirannia burocratica”:

«Ebbene, questo fenomeno di centralizzazione statale e di burocratizzazione della vita nazionale si ripercuote in tutti i campi della attività sociale, è divenuto l’assurdo sperimentale opprimente della vita politica moderna. La guerra ha per necessità di cose accentuata questa tendenza statale; ma come il paradosso fa rilevare meglio il difetto, così nell’eccesso della congestione, oggi, dopo la guerra, si va ridestando più forte la coscienza di una libertà organica delle forze statali, di una revisione dei centralismi necessari, di un decentramento amministrativo, a larghissima base, di un rispetto fatto di fiducia e di speranze all’esplicarsi delle forze individuali e della iniziativa privata» (24).

Gli effetti dannosi del centralismo di stato vengono da Sturzo paragonati a un agente patogeno «che pervade le fibre del corpo sociale come un bacillo, che attenua le forze e toglie le energie libere e operanti» (25). È facile comprendere, alla luce di tale pensiero, quanto fossero importanti per Sturzo, quelle autonomie locali, spesso soffocate e in modo diverso in relazione ai regimi politici che si sono succeduti in Italia nell’ultimo secolo. Sin dal Programma municipale dei cattolici italiani del 1902 questa attenzione alle autonomie è evidente, quale matura espressione di quel principio politico di sussidiarietà proclamato dalla Dottrina sociale della Chiesa (26).

Proteggere le autonomie significa sempre tutelare e promuovere le libertà personali e collettive. Si può dire che l’essenza dello stato comprende tre valori chiave che consentono alla politica di perseguire il bene comune: la libertà, la sussidiarietà e la solidarietà. Il Programma del Partito Popolare Italiano del 1919, come si è visto, sviluppava proprio questi valori concretizzando un’idea di stato al servizio del bene comune. Mai uno stato fine quindi, ma uno stato mezzo capace di acquisire significato morale nell’esercizio dei suoi compiti sociali:

«In quanto tale, il fine dell’attività politica è il vantaggio dello Stato considerato come il bene comune. In questo senso la politica fa parte dell’ordine morale, perché cercare il bene comune con mezzi adatti è certamente uno scopo morale» (27).

La nascita della nuova democrazia italiana, nel secondo dopoguerra, non elimina i timori di Sturzo in merito a quelli che egli definisce “i semi dello statalismo”, nella loro tradizionale persistenza:

«[…] i semi dello statalismo si sono diffusi in Italia da oltre mezzo secolo e si sono sviluppati in tutti gli ordinamenti amministrativi e politici, nei codici e perfino nell’orientamento generale del paese come una gramigna mentale e sentimentale» (28).

Quello che può essere definito l’anti-statalismo di Sturzo (29) deve però essere bene interpretato e non frainteso: lo stato è necessario quale essenziale punto di riferimento della realtà sociale e in questo senso ha certamente una sua innegabile oggettività, ma non è il valore supremo perché quest’ultimo, per Sturzo, rimane sempre la persona umana. Ecco allora che:

«Lo stato non è la nazione, ma rappresenta e organizza la nazione; lo stato non è il popolo, ma ne è l’espressione politica; lo stato non è l’autorità ma è rappresentato dagli uomini investiti di autorità; lo stato non è la legge, ma si articola per via di leggi, decreti e regolamenti; lo stato non è la giustizia, l’ordine, l’equità, ma è basato sulla giustizia, si fortifica nell’ordine e procura di adeguare la sua azione all’equità dei rapporti sociali; lo stato non è la libertà, ma garantisce le libertà civili, politiche e religiose» (30).

Di fronte alla realtà sociale, nella sua complessità e ricchezza, lo stato si fa catalizzatore e interprete dei valori comuni, attua quella fondamentale legge sociologica che Sturzo definisce «la trascendenza dei nuclei sociali per più ampi sviluppi della coscienza collettiva» (31).

Come si è visto la moralità è condizione essenziale della vita politica e il separarle, se non addirittura porle in opposizione, significa non aver colto il senso profondo della politica stessa; vuol dire confonderla con il semplice esercizio di un potere. Perseguendo il bene comune la politica si fa carità:

«Ritorniamo francamente e coraggiosamente all’idea cristiana di comunità, avente alla sua base la verità e la giustizia, ispirata da uno spirito di carità fraterna, di cooperazione costante con l’autorità, per i fini naturali dello stato, coordinati o subordinati (a seconda del caso) al fine soprannaturale di ogni individuo, persona umana e cristiana, responsabile e degna di rispetto» (32).

Sturzo non nega che, nella realtà sociale, a volte la politica viene vista in senso negativo, “disprezzata da diventare spesso sinonimo di frode” (33), ma ciò, come si è visto, dipende dall’errata e perniciosa idea che la politica si risolve nelle forme storiche di esercizio del potere dove lo stesso diritto, perduta la sua essenza morale, diviene espressione di forza al servizio del medesimo. Ma proprio la centralità della persona esprime, al contrario, l’essenza morale del diritto, in quanto, precisa Sturzo, «non c’è diritto che non sia morale; un diritto immorale è impossibile a concepirsi perché dal momento che è immorale cessa di essere un diritto» (34).

L’attenzione alla persona è essenzialmente attenzione al prossimo, è amore per il prossimo; e in questo suo donarsi la politica si fa carità, veicolo di bene e di giustizia:

«La politica non è una cosa sporca. Pio XI la definì “un atto di carità del prossimo”. Infatti, lavorare al bene di un paese, o di una provincia, o di una città, è fare del bene al prossimo riunito in uno stato, o provincia, o città. In ogni nostra attività noi incontriamo il prossimo: chi può vivere isolato? E i nostri rapporti con il prossimo sono di giustizia e di carità. La politica è carità, ma non nel senso che non costituisca un dovere; il dovere c’è ed è quello che oggi si chiama dovere civico o dovere sociale» (35).

Come esattamente scrive Luigi Di Franco: «L’impegno politico di Luigi Sturzo, pertanto, trova la propria fonte nella carità, perché solo questa resta la vera sostanza spirituale in grado di soddisfare ogni umana tendenza verso l’Assoluto» (36). La persona umana opera nella storia, ma certamente non si esaurisce in essa conservando la propria irriducibile finalità: Sturzo è molto attento alla storia, tanto da definire il suo pensiero “storicismo sociologico” e ponendolo, a scanso di equivoci, in netta contrapposizione a quello storicismo idealistico molto diffuso nella cultura italiana del primo novecento. Nulla a che vedere dunque con l’’immanentismo idealistico:

 «Per noi lo storicismo è la concezione sistematica della storia, come processo umano, realizzantesi in virtù di forze immanenti, unificato nella razionalità, però da un principio e verso un fine trascendentale assoluto. Abbiamo accennato più sopra alla duplice unificazione del processo storico, una immanente nella razionalità umana, l’altra trascendente nell’intelletto Assoluto. La prima risulta dall’esperienza umana; la seconda unificazione sta nel rapporto del contingente verso l’assoluto» (37).

Se così possiamo dire, per Sturzo la storia è il necessario palcoscenico dell’esperienza umana, ma quest’ultima non può prescindere dalla trascendenza. Con la venuta del Cristo il soprannaturale è entrato nella storia “e come tale non è più eliminabile”:

«La rivelazione divina e ogni conseguente manifestazione soprannaturale, pur realizzandosi in virtù di leggi proprie, è, una volta realizzata, acquisita alle attività umane buone o cattive, che formano oggetto della storia. Così tanto l’opera di Dio che si rivela dalla natura creata, quanto la rivelazione soprannaturale di Dio all’uomo divengono, per la conseguente e dipendente attività umana, elementi del processo e oggetto della storia» (38). 

La presenza del divino nella storia è forza dinamica capace di dirigere il processo umano verso il Bene, si crea una circolarità, per Sturzo, che deve essere riconosciuta e compresa nelle sue potenzialità:

«Il circolo Trascendenza-Immanenza e Immanenza-Trascendenza, che è la legge della creazione e del destino cosmico, si potrà più facilmente realizzare da ciascun uomo, quando questi, attraverso le manifestazioni storiche del divino acquisti la potenzialità di trasformarsi in esso» (39).

In sintesi: l’esperienza storica dell’uomo si sviluppa fra due poli che la trascendono e questo rappresenta, per Sturzo, l’essenza stessa della persona umana nell’essere traccia e desiderio dell’Assoluto.

 All’inizio di questo breve saggio abbiamo parlato di attualità del pensiero politico e morale di Luigi Sturzo: tale attualità si concretizza, a nostro parere, nella forza profetica del suo messaggio, da intendersi non solo come capacità di aver previsto le possibili degenerazioni della vita politica e sociale ma anche come espressione di una filosofia cristiana della storia orientata verso il suo compimento.

Anzitutto e coerentemente con la tradizione del pensiero sociale cristiano la politica è finalizzata al bene comune e quest’ultimo richiede il preliminare riconoscimento della centralità della persona umana. Si tratta di un primato ontologico che non può mai essere disconosciuto o subordinato ad altro: Sturzo ribadisce sempre e durante tutta la sua vita che quando ci si allontana da tale valore il prezzo che si paga è elevato, si sacrificano la libertà e la dignità dell’uomo. Certo Luigi Sturzo aveva sperimentato tale deriva nell’età dei totalitarismi, quando miti e follie collettive avevano di fatto prodotto il dissolvimento della persona umana ma, come abbiamo visto, anche le democrazie possono perdere di vista tale centralità, magari con l’utilizzo di strumenti ideologici e con un crescente materialismo, capaci di influire più o meno avvertitamente sull’esercizio concreto della libertà:

«Il sustrato immorale ed inumano della nostra civiltà è dato dalla sua negazione della persona umana: più questa negazione è completa e più inumano è il sistema che ne deriva. Ecco perché denunziando il fascismo, il nazismo e il bolscevismo come sistemi immorali ed inumani non dimentichiamo tutto ciò che la struttura delle nostre attuali democrazie nasconde di immorale e di inumano» (40).

La persona vive e si realizza nella libertà e quest’ultima va sempre difesa dalle pericolose pretese della “socialità organica”:

«Perduto il senso del limite fra personalità umana e socialità organica, cade anche quello di competenza tra iniziativa libera e intervento pubblico […] tra tutto ciò che ripete la sua azione e la sua vitalità dall’iniziativa libera e quel che, in qualsiasi modo, va regolato, limitato o esercitato dal potere pubblico» (41).

Si tratta di parole profetiche se pensiamo al carattere invasivo e pervasivo degli odierni mezzi di comunicazione di massa, alla loro influenza sulle coscienze nella formazione di idee e opinioni, una specie di dittatura informatica tanto più pericolosa in quanto inavvertita e subita, magari nella convinzione che ciò esprima una forma di esercizio della libertà. La personalità umana viene così omologata e dunque dissolta in un “pensiero comune” molto simile nella sua essenza spersonalizzante a quello dei sistemi totalitari. Sturzo avvertiva che “la libertà si conquista ogni giorno” e aggiungeva: «Chi crede di aver conquistato la libertà una volta per sempre, non ha mai capito cosa sia la libertà e cosa importi la battaglia per la libertà» (42). L’importanza del personalismo sturziano e la sua attualità sono pertanto evidenti nel loro significato di critica attenta all’azione degli stati contemporanei e a tutte quelle forze tecnocratiche e finanziarie che, di fatto, si affermano sacrificando la libertà della persona umana o comunque addormentandone la coscienza. Vi è poi, come si diceva, una prospettiva profetica più ampia, inserita in una filosofia cristiana della storia che procede da Dio e al medesimo ritorna. La lunga e tormentata storia dell’uomo non si risolve in se stessa ma si inserisce, per Sturzo, nel quadro ordinato della creazione che, in quanto tale, è buona: «Onde noi possiamo concludere con reputare tutto il cosmo buono, ordinato, dotato di una energia inesauribile […] verso una finalità d’insieme nella quale non possiamo non vedere l’impronta creatrice» (43). Non solo con la venuta del Cristo il soprannaturale è definitivamente entrato nella storia dell’uomo ma proprio in ragione di ciò Dio si è fatto e si fa presente nella contingenza umana e la illumina con la sua luce. Tutto dunque ha senso e significato e la certezza della trascendenza non si risolve in un oltre ma si manifesta nell’esistenza di ognuno e consente il “trionfo della speranza” in “un mondo che pare l’abbia perduta”: «Tutto è vivificato dalla speranza […] Così […] speranze umane, mondane e speranze spirituali e cristiane si intrecciano nel nostro cuore, ora agitandolo, ora disseccandolo in una vicenda continua» (44). Ancora una volta la “vera vita” degli uomini non può prescindere dal loro destino eterno.


  1. Sturzo, La democrazia cristiana nel pensiero e nella vita. Per il 15 maggio. La conferenza fu pubblicata nel volume Sintesi sociali nelle edizioni della Società Nazionale di Cultura e in seguito ripubblicata nell’Opera Omnia Sturziana a cura dell’Istituto Luigi Sturzo, con introduzione di G. De Rosa (Bologna 1961). Citiamo il passo da Luigi Sturzo. Saggi e discorsi politici e sociali, a cura di Vincenzo Clemente, Edizioni Cinque Lune, Roma 1973, p. 16.
  2.  Ivi, pp. 29-30
  3. Sturzo, La democrazia cristiana nel pensiero e nella vita, pp. 26-27. 
  4. Ivi, p. 34. 
  5. Sturzo, La vera rivoluzione è spirituale, in La vera vita. Sociologia del soprannaturale, Edizioni Vivere In, Roma 2006, p. 233.
  6. L’Appello al Paese del 18 gennaio 1919 era firmato da una Commissione provvisoria di vari esponenti del cattolicesimo democratico e da Luigi Sturzo in qualità di segretario politico, Citiamo il documento da Luigi Sturzo. Morale e politica, a cura di Cecilia Dau Novelli, Castelvecchi, Roma 2012, p. 35. 
  7. L’Appello al Paese, pp. 37-38.
  8. Ivi, pp. 39-42.
  9.  Sturzo, La vera vita. Sociologia del soprannaturale, p. 59. Si rinvia, per un ampio esame di tali tematiche al recente saggio di L. Di Franco, Libertà e persona nell’etica di Luigi Sturzo. La vita soprannaturale nella storia, Bonanno, Acireale-Roma 2017
  10. Sturzo, La Società: sua natura e leggi, Atlas, Bergamo 1949, pp. 203-204.
  11. Sturzo, Politica e morale, in Luigi Sturzo. Morale e politica, p.72.
  12. Sturzo, L’état actuel de l’esprit public en Italie et le problème de la liberté politique, conferenza tenuta presso la Corte di Cassazione di Parigi il 30 marzo 1925, oggi pubblicata in Luigi Sturzo. Saggi e discorsi politici e sociali, con il titolo Il problema della libertà e la crisi italiana, v. p. 274.
  13. Ivi, p. 275.
  14. Ivi, p. 285.
  15.  Sturzo, Politica di questi anni. Consensi e critiche (1948-1949), Zanichelli, Bologna 1955, vol. X, p. 165.
  16.  Politica e morale, p. 63  
  17. Sturzo, Politica e morale, p. 72.
  18. Ivi, pp. 62-63
  19. Ivi, p. 71.
  20. Ivi, pp. 71-72.
  21.  Ivi, p. 77.
  22. Lazzati, Azione cattolica e azione politica, La Locusta, Vicenza 1962, p. 10. 
  23. Sturzo, Politica e morale, p. 86.
  24. Sturzo, I problemi del dopoguerra, discorso tenuto a Milano il 17 novembre 1918, oggi contenuto nell’Opera Omnia di L. Sturzo, Il Partito Popolare Italiano, vol. I, Zanichelli, Bologna 1956. Citiamo da Luigi Sturzo. Saggi e discorsi, p. 119. 
  25. Ivi, p. 121.
  26.  Sturzo, Il programma municipale dei cattolici italiani, presentato da Sturzo a Caltanissetta nel novembre del 1902. Oggi in L. Sturzo, La croce di Costantino, a cura di G. De Rosa, Roma 1958. Vedi anche in Luigi Sturzo. Saggi e discorsi, pp. 41-67. 
  27. Sturzo, Politica e morale, p. 80. 
  28. Sturzo, I mali dello statalismo, in “Giornale d’Italia”, 17 novembre 1952.
  29. Vedi sul punto il saggio di L. Dalu, Luigi Sturzo “contro lo statalismo”, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995. 
  30.  Sturzo, Politica di questi anni 1940-1956, Edizioni di politica popolare, Napoli 1956, p. 179.
  31. Sturzo, La vera vita. Sociologia del soprannaturale, pp. 165-166.
  32. Ivi, p. 237
  33. Sturzo, Politica e morale, p. 80.
  34. Ivi, p. 81.
  35.  Sturzo, La politica è “cosa sporca”? (7 luglio 1942). Ripubblicato da “Il Popolo” del 15 ottobre 1991.
  36.  L. Di Franco, Libertà e persona nell’etica di Luigi Sturzo, p. 160.
  37.  Sturzo, Sociologia e storicismo, in La Società, sua Natura e sue Leggi, pp. 3-28. Citiamo il passo da Luigi Sturzo. Saggi e discorsi, p. 335.
  38.  Ivi, p. 337.
  39.  Ivi, p. 338.
  40. Sturzo, Politica e morale, p. 83.
  41. Sturzo, La battaglia della libertà (18 dicembre 1957), in Battaglie per la libertà. I Saggi e articoli per “Il Giornale d’Italia” (1952-1957), Ila-Palma, Palermo 1992, v. volume I, pp. 612-613
  42. Sturzo, La battaglia della libertà, p. 612
  43. Sturzo, La vera vita. Sociologia del soprannaturale, p. 126.
  44. Sturzo, Speranze e auguri (31 dicembre 1958), in Battaglie per la libertà, vol. II, p. 918.